Tra leggi discusse e anche un po’ discutibili che fanno accapigliare la politica, interventi di istituzioni sovranazionali, moniti solidali di autorità morali e perfino religiose, manifestazioni, iniziative e sfilate di Gay pride, chissà se anche il festival cinematografico di Torino dedicato al mondo e alla cultura omosessuale avrà dato nel corso degli anni un suo piccolo contributo all’accettazione di quella differenza di genere che potremmo serenamente anche chiamare diversità senza il timore di apparire scorretti. La manifestazione (26 aprile – 1° maggio, al Museo del cinema, multisala Massimo) arriva alla 37esima edizione, la più antica di Europa nel suo settore tematico, e in tutti questi anni qualcosa certamente ha lasciato, nella città che lo ospita come altrove.
Certo, siamo ancora all’ “accettazione” del gay, uomo o donna che sia, peraltro da conquistare pienamente e non solo in quegli strati sociali che la crescita culturale non ha ancora raggiunto, o peggio siamo fermi alla tolleranza, a una benevola indulgenza, ma qualche passo avanti è innegabile, e forse questo è avvenuto anche grazie al festival torinese.
Il prossimo passaggio, ma chissà quando, forse sarà una situazione di “indifferenza”, quando per esempio l’elezione del primo sindaco trans in Italia, Gian Marco Negri, non sarà più una notizia: è accaduto di recente nel piccolo centro di Tromello, in provincia di Pavia; Negri, avvocato, era donna ed è diventato uomo. La sua elezione a primo cittadino è al centro di un documentario, Good Times for a Change (È un buon momento per cambiare), nel programma di questa rassegna di cinema gay che ormai da alcuni anni si chiama Lovers film festival Lgbtqi+, sigla che include tutte, ma proprio tutte, le declinazioni della diversità sessuale.
Il direttore Vladimir Luxuria, la trans apprezzata per la sua poliedrica attività di intellettuale, di artista, di personaggio pubblico impegnata anche nella politica attiva, ha preparato un programma con 54 film, tra lungometraggi in concorso e fuori competizione, cortometraggi e documentari. E accanto ai film, ospiti, omaggi e iniziative che danno alla rassegna vivacità e punti di interesse diversi. Ed ecco allora nella serata di apertura l’attrice Barbara Bouchet, madrina del festival, che dopo le prime esperienze negli Stati Uniti in film di maestri come Otto Preminger e Bob Fosse, negli anni ’70 si è trasferita a Cinecittà, dove è diventata una delle immagini simbolo del cinema in voga in quegli anni in Italia: la commedia all’italiana, la commedia sexy, e poi il thriller, il poliziottesco, lavorando con Lucio Fulci, Luciano Salce, Pasquale Festa Campanile e tanti altri. Quindi Sabina Guzzanti, che animerà la serata finale con i suoi divertenti monologhi corrosivi. E ancora, il giovanissimo cantante Michele Bravi, protagonista della scena musicale del momento; il duo di Drag Queen Karma B, presente tutti i giorni per accompagnare le proiezioni con una spruzzata di leggerezza; l’ambasciatore Fabrizio Petri, inviato speciale per i diritti umani delle persone Lgbtqi+, che consegnerà il premio Riflessi nel buio, dedicato a paesi dove essere omosessuali mette a rischio anche la vita.
Tra gli omaggi, uno è per Pasolini nel centenario della nascita con una retrospettiva di 4 film e un incontro condotto da Stefano Della Casa, nuovo direttore del Torino film festival, dal titolo Chi ha paura di Pasolini, più una mostra di fotografie firmate da Angelo Frontoni sulla cancellata della Mole Antonelliana; un altro omaggio è per Monica Vitti, scomparsa nel febbraio scorso, con la proiezione di La ragazza con la pistola, di Monicelli. E ancora, un ricordo di Judy Garland, celebrata con il classico E’ nata una stella, di George Cukor.
Tra gli incontri, atteso quello su Sport e omofobia, con l’ex calciatore Antonio Cabrini, una lunga militanza nella Juventus e campione del mondo ai mondiali di Spagna 1982, l’allenatore di pallavolo e olimpionico Mauro Berruto, e Evelina Christillin. Lo sport anche nel film di apertura, In from the side, di Matt Carter, presente al festival, storia di gay nel mondo del rugby. C’è spazio anche per la dolorosa attualità della guerra in Ucraina, con l’artista trans ucraina Zi Faamelu, costretta a fuggire attraversando un fiume a nuoto per non dover combattere: voleva espratriare, ma al confine veniva respinta in quanto risultava di sesso maschile. Nella giuria, Franco Grillini ed Enzo Cucco, due tra i più impegnati militanti per i diritti dei gay.
Da mezzo mondo i film della rassegna, con molti dei paesi della vecchia e nuova Europa del profondo nord e del sud, Stati Uniti, Russia, Australia, Canada, Libano, Messico, Tunisia, Taiwan. Il direttore Luxuria li ha catalogati in alcuni filoni narrativi, ai quali ha dato titoli rigorosamente in inglese – purtroppo un piccolo segno di provincialismo che andrebbe rimosso, proprio mentre il festival cerca di abbandonare quella patina di seriosità che un po’ gli nuoceva, regalando al pubblico occasioni di divertimento senza aggettivi: drammi, commedie, sentimenti, sesso, autoironia, si va dalla scoperta della propria omosessualità, con gli interrogativi e i disagi familiari e sociali che comporta il dichiararsi gay, alle costrizioni di chi non viene accettato, a opere su icone di ieri e di oggi, ai pionieri, uomini e donne, delle battaglie per i diritti e la condizioni stessa dell’omosessualità.
Ritorno a una favolosa normalità: così Luxuria ha definito questa edizione di cinema gay, che dura 6 giorni, dopo due anni in cui il festival si era dovuto trasferire dalla primavera all’autunno a causa dell’epidemia e una riduzione ad appena 3 giorni. Le risorse salgono da 250 a 300 mila euro, un aumento che in realtà non è propriamente in liquidità ma in servizi. Cinema gay meriterebbe di più: intanto il direttore Vladimir Luxuria viene confermato per altri 3 anni e all’ultimo anno di mandato il festival compirà 40 anni; forse come spesso accade per aggiungere qualche euro gli enti pubblici che lo finanziano, attraverso il Museo del cinema, aspetteranno la ricorrenza.
Nino Battaglia