Google Author Authority

Google Author Authority- Photo by Luke Lung on Unsplash

Il concetto di author authority (o “author rank”) in Google ha una storia lunga e abbastanza complessa. Molti esperti di posizionamento sanno bene quanta importanza venga data da Google al “fattore EAT” (“Expertise, Authoritativeness, and Trustworthiness”, ovvero “Competenza, Autorevolezza e Affidabilità”) dei creatori di contenuti quando viene giudicata la qualità dei contenuti stessi. Dopotutto, non preferiremmo ricevere consigli medici da un ricercatore accreditato, piuttosto che da un blogger che tiene aperto un sito di notizie e opinioni sulla medicina?

Ma a Google interessa davvero chi ha creato un contenuto? E attualmente utilizza la rilevanza di un autore come fattore attivo nei suoi algoritmi di posizionamento nei risultati di ricerca? Fino a poco tempo fa potevamo dire che se non avevamo prove sufficienti per determinare se Google stesse utilizzando qualsiasi tipo di autorità dell’autore nella ricerca, avevamo prove di un crescente (e rinnovato) interesse da parte di Google nell’identificare gli autori. E come sappiamo bene, se Google fa qualcosa non la fa per caso, ma avrà uno scopo preciso e un obiettivo ben definito.

Breve storia della Author Authority in Google

Agent Rank / Author Rank
Le origini del concetto di utilizzo dell’autorità e della reputazione di un creatore di contenuti risalgono al brevetto relativo ad Agent Rank (livello di importanza degli agenti/autori) concesso a Google il 21 luglio 2009. Il brevetto proponeva un mezzo di valutazione dei contributori ai vari elementi di una pagina web determinando l’identità di ciascuno degli “agenti” contribuenti con una “firma digitale” e assegnando a ciascuno un punteggio in base ad altri contenuti ad esso associati. Il brevetto di Agent Rank  sarebbe probabilmente caduto nel dimenticatoio, sotterrato nelle profondità della storia di Google, se non fosse stato per un nuovo progetto di Google presentato nel 2011: Google Authorship.

Google Authorship
Il 7 giugno 2011 Google annuncia la Autorship Markup (sistema di codifica della “paternità”) per la ricerca web. Il sistema di codifica dalla paternità era uno sviluppo che consentiva agli editori e agli autori di contenuti di creare una firma digitale utilizzando gli attributi di codifica dei dati strutturati rel=”author” e rel=”nominativo” di Schema.org.. Gli editori possono quindi collegare autore al suo profilo identificabile su un altro sito e gli autori possono collegarsi ai propri contenuti pubblcati. Questo collegamento bidirezionale crea una firma digitale che darebbe a Google maggiore fiducia sull’identità degli autori e porterebbe ad una connessione certa degli stessi i propri contenuti sul Web..
Sebbene non fossero stati inizialmente annunciati vantaggi pratici per l’utilizzo del markup Authorship, nell’ultimo paragrafo del post del blog di Google c’era un riferimento evidente: “Sappiamo che ottimi contenuti provengono da grandi autori e stiamo esaminando attentamente i modi in cui questo markup potrebbe aiutarci a mettere in evidenza gli autori e classificare i risultati di ricerca.”
È molto raro che Google accenni a qualcosa che potrebbe utilizzare per influenzare le classifiche nei risultati di ricerca, quindi la comunità SEO ha immediatamente iniziato a prestare attenzione agli sviluppi possibili. Nessuno aveva idea di quanto Google fosse pronto ad andare avanti con l’adozione di Authorship. Solo 22 giorni dopo il post sul blog, Google ha presentato Google+.

Google+ e Google Authorship
Molti esperti SEO hanno sempre creduto che uno dei motivi principali per cui Google ha dato così tanto peso a Google+ nei suoi primi giorni era la sua esigenza di essere in grado di identificare le persone sul Web. Questo era un passaggio necessario per far funzionare la Autorship/Paternità, ma Google è andato ben oltre.
Google ha fortemente incentivato (alcuni direbbero costretto o addirittura obbligato) gli utenti a creare profili Google+. Per un periodo di tempo è stato quasi impossibile utilizzare molti servizi Google senza uno di essi. Non si può negare che l’importanza primaria di questo fosse per la pubblicità. Se Google avesse un’identità tracciabile per quasi tutti gli utenti web, renderebbe la pubblicità mirata a quegli utenti molto più accurata. Ecco perché è ridicolo pensare che Google+ non fosse “monetizzato” Ma questo significava anche che molti autori del web avrebbero avuto profili Google. Ora Google aveva l’ancora di cui aveva bisogno come firma digitale per mettere in funzione l’Authorship/Paternità.

La Authorship entra in funzione
L’authorship è passata da qualcosa che Google stava pensando di utilizzare un giorno o l’altro ad una componente attiva della ricerca nell’agosto 2011, quando Matt Cutts (allora capo del team antispam) e Othar Hansen (allora capo del progetto Authorship) di Google hanno pubblicato un video di YouTube che incoraggiava gli autori a collegare i loro contenuti pubblicati sul Web al loro profili Google+. Questi profili hanno iniziato a mostrare una sezione speciale in cui gli autori potevano elencare i collegamenti alle biografie dei proprietari o alle pagine di archivio sulle pubblicazioni per le quali scrivevano.
Oltre alle utili istruzioni su come implementare il markup di Authorship, questo video ha anche introdotto il progetto di Google di iniziare a mostrare le immagini del profilo degli autori accanto ai risultati di ricerca per i loro contenuti. E Hansen ha anche affermato che “ad un certo punto” Google avrebbe utilizzato questo markup per influenzare i risultati di ricerca.
L’aspetto e i componenti dei rich snippet di Authorship sono cambiati costantemente durante la presenza di Authorship nei risultati di ricerca. A volte, il sottotitolo era un collegamento che conduceva a una pagina dei risultati di ricerca dedicata al contenuto di quell’autore. Per alcuni mesi, facendo clic su un collegamento di Google con Autorship e quindi facendo nuovamente clic su Google si apriva un menu a tendina con altri contenuti di quell’autore. I risultati di Autorship non sono mai stati garantiti come sempre presenti. Non venivano mostrati per ogni autore (anche se il markup era stato implementato), e anche per quelli che li avevano ottenuti, non venivano mostrati per ogni risultato. Sembrava che ci fossero alcune soglie algoritmiche perché uno snippet di Authorship fosse mostrato.

Declino e caduta della Authorship
La prima indicazione che Google si stava ritirando da Authorship è arrivata all’inizio di dicembre 2013, quando il numero di frammenti di Authorship mostrati nella ricerca è crollato durante la notte. Poi, nel giugno 2014, le foto del profilo dell’autore sono scomparse, lasciando solo i sottotitoli. Il 28 agosto 2014 Google rimuove gli snippet di Authorship nella ricerca.

Perché è stata abbandonata la Authorship?

Ecco, in breve, i motivi per cui Google ha abbandonato la Autorship nei risultati di ricerca, come vengono illustrati in uno storico articolo di Eric Enge su Search Engine Land:

  • Adozione irregolare da parte di autori ed editori. Uno studio condotto da Google ha esaminato l’adozione del markup dell’Authorshipda parte degli autori sulle principali pubblicazioni mondiali e ha rilevato che meno di un terzo di essi aveva il collegamento necessario. Google non poteva utilizzare un segnale sbilanciato, uno che potenzialmente garantiva favoritismi ad alcuni autori rispetto ad altri semplicemente perché avevano implementato una codifica specifica. L’adozione del markup dell’Authorship sembrava anche sbilanciata su alcune categorie, come i marketer (sorpresa!) e gli agenti immobiliari e assicurativi.
  • Mancanza di valore per chi effettua ricerche. I test effettuati da Google hanno mostrato che gli snippet di Authorship non sembravano essere apprezzati da che effettuava ricerche.
  • Mobile-first diventa predominante in Google. Nelle interviste e nei Webmaster Hangouts post-Authorship, John Mueller di Google ha spesso incolpato l’ascesa di una filosofia mobile-first, con orientamento spiccato dei risultati di ricertca alla visibilità su dispositivi mobile (smartphone e tablet) per la caduta di Authorship. A quanto pare quindi, Google non riusciva ad adattare bene i rich snippet di Authorship alla visibilità su dispositivi mobile.

Alla fine, quali che fossero le ragioni dell’abbandono del progetto Authorship, è stato significativo che sia durato quanto è durato (tre anni). La maggior parte degli esperimenti di ricerca, in particolare quelli visualizzati in modo prominente nelle pagine dei risultati come lo era Authorship, non durano così a lungo. Per molti esperti SEO ciò significa che, nonostante i problemi sopra menzionati, l’idea dell’Autorship nella ricerca era importante per Google. E quanto vediamo oggigiorno lo dimostra ampiamente..

La Authorship comprendeva l’Author Rank?

Innanzitutto, Author Rank non è mai stato un termine utilizzato ufficialmente da Google. Era invece un concetto popolare nella comunità degli esperti SEO, basato in parte sui post di Bill Slawski sul brevetto relativo ad Agent Rank, ed alimentato dalle affermazioni di Google nel 2011 sul fatto che “potrebbe un giorno” utilizzare l’Authorship come indicatore per la classifica/posizionamento nei risultati di ricerca. In effetti, molti esperti di posizionamento hanno semplicemente ritenuto che potesse essere un parametro utilizzato, ma hanno offerto solo prove aneddotiche, del tipo “Abbiamo ottenuto un frammento di paternità per un post e tre giorni dopo è salito di tre posizioni nella ricerca!” Probabilmente Google sapeva che sarebbe stato prematuro attivare qualsiasi tipo di Autorship negli algoritmi di classificazione nella prima fase di analisi. Perché di questo si trattava in effetti: un “esercizio di formazione” per qualsiasi uso futuro dell’Autorship, su cui certamente Google ha imparato moltissimo.

Le prove che la Author Authority ha continuato ad essere un parametro importante per Google

L’abbandono dell’Autorship nel 2014 non ha quindi comportato per Google la caduta dell’importanza data alla rilevanza degli Autori di contenuti. Ci sono una serie di indizi che indicano che Google è rimasto interessato al concetto dopo questi tre anni di “test pubblico”, non come fattore di ranking diretto ma almeno e sicuramente come indicatore di qualità e affidabilità dei contenuti. E sappiamo che queste cose influiscono sempre di più su ciò che a Google piace mostrare agli utenti nei risultati di ricerca.

Creatori di contenuti e le Google Search Quality Raters Guidelines (le linee guida per i valutatori della qualità della Ricerca Google)

Il nuovo boom di attenzione sull’Autorship è stato scatenato dall’aggiornamento del 20 luglio 2018 alle Search Quality Raters Guidelines (SQRG). L’SQRG è il documento di formazione per i valutatori della qualità della ricerca, che sono i consulenti di Google incaricati di valutare le pagine Web effettive che potrebbero essere fornite dalla ricerca di Google in risposta a una determinata query. E si, ci sono proprio persone che passano il loro tempo a fare ricerche, visitare le pagine che vengono presentate nei risultati di ricerca, e valutarle secondo parametri di qualità e rispondenza ben definiti in queste linee guida. Google a volte utilizza i valutatori per testare le modifiche proposte ai suoi algoritmi di ricerca.
Per ottenere il punteggio più alto, una pagina deve avere un punteggio elevato nei tre attributi di qualità dei contenuti di Google, Competenza (Expertise), Autorità (Authority) e Affidabilità (Trustworthiness) da cui l’acronimo EAT.
Un’importante aggiunta a SQRG nell’aggiornamento di luglio 2018 è stata l’inclusione dei “creatori di contenuti” come componente della misura della qualità dei contenuti. Ai valutatori viene detto di cercare un creatore con nome associato al contenuto di una pagina, quindi di cercare dove quel creatore si presenta online. In particolare, ai valutatori viene detto di valutare l’EAT dei creatori. Quindi, almeno per quanto riguarda l’SQRG di Google, la reputazione e l’esperienza dei creatori di un contenuto è una componente importante della valutazione EAT complessiva del materiale in esame. Ai valutatori viene detto che un punteggio basso per il creatore di contenuti è sufficiente per dare al contenuto stesso un punteggio di bassa qualità.
È importante notare che Google è stato molto chiaro sul fatto che il lavoro di questi valutatori non influisce direttamente e immediatamente su specifici risultati di ricerca. In altre parole, anche se ai valutatori vengono forniti esempi reali di contenuti che vengono visualizzati in specifici risultati di ricerca, le loro valutazioni non vengono mai utilizzate per influenzare quei risultati di ricerca. Tuttavia, come detto sopra, le loro valutazioni possono essere utilizzate per migliorare l’algoritmo generale. Variazioni nei risultati di ricerca si vedono quindi in seguito agli aggiornamenti periodici dell’algoritmo.
Inoltre, Google ha affermato chiaramente che qualcosa che appare nell’SQRG non significa necessariamente che sia un fattore di ranking diretto. Tuttavia, allo stesso tempo, Google consiglia di leggere queste linee guida per avere una buona idea di ciò che vuole vedere nei suoi risultati di ricerca (motivo per cui ora le rilascia pubblicamente).
E arrivano a questo punto i chiarimenti di Google. In un video live di YouTube il 21 agosto 2018, a John Mueller di Google è stato chiesto della Autorship nelle ricerche. La domanda è stata ispirata dalla speculazione di alcuni importanti SEO secondo cui la Autorship potrebbe essere stata un fattore nell’aggiornamento di Google del 1 agosto che ha interessato molti editori di contenuti. Questa speculazione è stata alimentata da un tweet di Google Search Liaison dove Danny Sullivan suggerisce che i SEO interessati dall’aggiornamento rivedano gli SQRG, che ovviamente hanno menzionato in modo prominente la reputazione del creatore di contenuti.
La risposta di John Mueller alla domanda sulla Autorship come fattore nell’aggiornamento non è definitiva ed assoluta: “Non considererei le Linee Guida per i Valutatori della Qualità come qualcosa che i nostri algoritmi stanno esaminando in modo esplicito, controllando la reputazione di tutti gli autori e quindi utilizzandola per classificare tutti i siti web”.
In pratica, non tutti gli autori e non tutti i siti Web. , una parola significativa in questa citazione è “tutto”. Se quindi non possiamo ancora dire che nel 2018 esista una sorta di “punteggio di qualità del creatore” nelle classifiche di ricerca di Google, il cambiamento principale all’SQRG è l’indicazione più forte che chi ha creato un contenuto è importante per Google.

ID Entità Machine-Readable

I Machine-Readable Entity ID (MREID) sono codici univoci sotto forma di una stringa di caratteri che identifica una particolare entità in qualsiasi punto del Web. Un’entità è una persona, un luogo, una cosa o un concetto unici. Quindi, Giuseppe Conte, ex Presidente del Consiglio ed attuale presidente del Movimento 5 Stelle, è un’entità, come lo sono New York City e il mitomodernismo. I MREID sono necessari per la ricerca, perché i nomi che usiamo per descrivere le entità sono spesso ambigui. Ad esempio, anche se parlando di Giuseppe Conte oggi si pensa immediatamente al Giuseppe Conte del Movimento 5 Stelle, c’è un altro Giuseppe Conte che le persone cercano perché è un importante scrittore, promotore del movimento del Mitomodernismo. Una macchina non può distinguere tra il primo Giuseppe Conte ed il secondo (ed i molti altri) con i nomi, ma se ognuno di questi ha un codice univoco associato, allora una macchina può distinguerli.
Google originariamente ricavava MREID da voci in Freebase, un enorme database di entità che Google ha acquisito nel 2010. Al momento attuale (2021), Google utilizza molte fonti per trovare e taggare entità con MREID, se sono abbastanza significative da meritarne uno. Sulla base delle valutazioni sui brevetti di Google, sembra che Google stia già utilizzando MREID per molte funzioni di ricerca, tra cui GoogleTrends, Google Lens e Google Reverse Image Search.
Se Google vuole identificare e valutare l’EAT degli autori sul Web, qualcosa come i MREID è fondamentale. Come accennato in precedenza, uno dei punti deboli di Google Authorship era la sua dipendenza da autori ed editori che codificavano su base volontaria ed autonoma le connessioni necessarie. I MREID consentono a Google di trovare, associare e disambiguare entità come gli autori sul Web senza subire interventi esterni di “ottimizzazione”.

Caselle dei Risultati Interessanti con autori

All’inizio del 2018 Google ha introdotto le caselle dei Risultati Interessanti per alcune query di ricerca mobile (smartphone e tablet). Queste caselle espandibili mostravano contenuti pertinenti alla query di ricerca che potevano non essere visualizzati nei primi 10 risultati tradizionali ma avrebbero potuto comunque essere di interesse per chi cercava.
È stato possibile notare nel 2018 che Google mostrava caselle di risultati interessanti per le ricerche dei nomi di alcuni autori di contenuti Web, funzione che è durata alcuni mesi e poi è scomparsa. Perché queste caselle sono state mostrate solo per alcuni autori e solo per un determinato periodo di tempo? Molti ritengono che Google abbia scelto di mostrarle nei casi in cui gli utenti hanno cercato un nome che ha creato qualche ambiguità, ma dove il comportamento precedente dei ricercatori ha mostrato che stavano spesso cercando per i contenuti di o su un determinato autore.
Anche se questo è stato un breve test, e limitato alla ricerca su dispositivi mobile (smartphone e tablet), e non viene oggi più mostrato, è un’altra indicazione che Google pensa che gli autori di contenuti potrebbero essere significativi per la ricerca.

L’evoluzione sino al 2021

Cosa possiamo dire oggi della Ricerca Google e dell’Identità e della Reputazione degli Autori? John Mueller di Google ha descritto come Google è in grado di riconoscere un autore e tutti i contenuti e le menzioni di quell’autore sul Web, senza più supportare il markup dell’autore (rel=”author” e rel=”nominativo”). In breve, Mueller ha affermato che Google può farlo quando tutti gli articoli dell’autore rimandano a una pagina bio o ad una “posizione centrale”.
Questo è emerso in un Hangout SEO di Google del 23 Aprile 2021 in cui qualcuno ha chiesto a Mueller  “Quali informazioni di contatto è meglio indicare nella pagina degli autori, negli account dei social network, negli indirizzi e-mail o in entrambi? Se possiamo scegliere solo un’opzione quale è più preferibile?” Mueller ha detto che “i nostri sistemi cercano di riconoscere chi è, cos’è quell’entità. E lo facciamo in base a una serie di fattori diversi e questo include cose come i collegamenti alle pagine del profilo, ad esempio. O informazioni visibili che
possiamo trovare su queste pagine stesse.”
John ha poi detto che la sua raccomandazione qui sarebbe quella di “collegarsi a un luogo comune o simile a un luogo centrale in cui dici che tutto si riunisce per questo autore, che potrebbe essere qualcosa come una pagina del profilo di un social network, ad esempio”. John ha poi aggiunto che puoi “usarlo nelle diverse pagine dell’autore che hai quando scrivi in ​​modo che quando i nostri sistemi guardano un articolo e vedono una pagina dell’autore associata, possono riconoscere che si tratta dello stesso autore. Possono distinguerlo dalla persona che ha scritto qualcos’altro e possiamo raggruppare queste informazioni per entità. Lo facciamo basandoci forse su questo profilo di social network che è lì a disposizione.” Google qui sta costruendo un’entità che comprende l’autore in base ai collegamenti trovati negli articoli dell’autore.
Mueller ha detto che questo processo si chiama riconciliazione, ha detto che “chiamiamo il processo riconciliazione quando si tratta di dati strutturati, una specie di riconoscimento di quali di queste entità hanno comune appartenenza”. E ancora “Molto tempo fa avevamo l’annotazione rel=”author” e tutti i vecchi SEO probabilmente ora se lo ricordano, ma è essenzialmente qualcosa in cui cerchiamo di utilizzare dati strutturati per applicare esplicitamente questo concetto. Ma è qualcosa dove, poiché le annotazioni rel=”author” non vengono più utilizzate da Google da un po ‘di tempo, cerchiamo di capire chi è l’entità dietro una pagina. E per molti autori è abbastanza chiaro che c’è un nome ed è molto ovvio che questo nome è associato a questa persona. Per altre persone può essere un po’ più complicato. Come me per esempio John Mueller, se mi cercate troverete pagine di Wikipedia, ristoranti barbecue, gruppi musicali, tutti i tipi di persone che si chiamano John Mueller. E se sul mio sito non specifico chi sono in realtà, allora potrebbe succedere che i nostri sistemi guardino le mie pagine e dicano ‘oh, questo è quel ragazzo che gestisce un ristorante barbecue’ e poi improvvisamente sono associato a un ristorante barbecue — che non so potrebbe essere un passo avanti…”

Gli Autori (e i SEO) si stanno attivando.

Molti professionisti SEO hanno presentato studi convincenti secondo cui non mostrare EAT — Competenza (Expertise), Autorità (Authority) e Affidabilità (Trustworthiness) — nel contenuto di un sito può essere un fattore che riduce la sua visibilità sui motori di ricerca. In effetti, Google menziona E-A-T 137 volte nell’attuale Search Quality Raters Guidelines (SQRG) di 167 pagine. Consiglia inoltre ai valutatori di controllare se la pagina dice chi è l’autore ed elenca la loro biografia e le credenziali. Google cerca questi elementi sul sito di un editore per determinarne il livello di trasparenza ed il tipo di informazioni:

– Data di pubblicazione
– Firme dell’autore
– Biografia dell’autore o collegamenti ad essa
– Informazioni sui contatti o collegamenti ad essi
– Informazioni di base sull’editore, l’azienda o la rete o collegamenti ad esse

Google ritiene che queste siano informazioni che un utente troverebbe utili se volesse valutare la credibilità di un sito. Inoltre, Google afferma che ciò è in linea con la ricerca accademica, le migliori pratiche giornalistiche e i propri test sugli utenti.

Altri principi che guidano l’approccio di Google alla valutazione della trasparenza includono:

– Aspettative regionali e nazionali: Google riconosce che ci sono aree del mondo in cui nominare un giornalista comporta un rischio significativo.
– Pratiche editoriali diverse: filosofie editoriali distintive, come la pubblicazione di pezzi senza sottotitolo, potrebbero influire sulla credibilità di una fonte altrimenti autorevole.
– Disponibilità per gli utenti: Google mira a dare parità di condizioni ai siti di grandi dimensioni con interfacce utente tecnologicamente avanzate e ai siti più piccoli che utilizzano semplici interfacce utente basate su testo.

Sono quindi molti gli Autori che stanno implementando pagine di profilo. Dalle discussioni sui principali Forum dedicati al Web Marketing ed al Posizionamento, è possibile ricavare e definire una struttura ottimale per tali profili.

8 suggerimenti per scrivere un profilo dell’autore SEO-friendly

  1. Scrivere in ​​terza persona
    Scrivere in terza persona aumenta l’autorità percepita e semplicemente si legge meglio di una biografia che si è scritta in prima persona. Può sembrare un po’ autocelebrativo, ma aggiunge più credibilità.
  2. Mantenere la biografia breve e concisa
    Una buona biografia dell’autore dovrebbe essere relativamente breve. Tra 50 e 100 parole è la norma generale che si trova nella maggior parte delle biografie degli autori online. Potrebbe anche esserci una quantità fissa di spazio predeterminata dal CMS.
  3. Includere informazioni su titolo e funzione
    Includere informazioni sul proprio lavoro e sulla propria funzione aggiunge credibilità alla biografia. Ad esempio, se si sta scrivendo sul tema della SEO, presentarsi come specialista SEO sarebbe considerato più credibile che presentarsi come specialista PPC e viceversa. Anche la funzione è importante. Sebbene i professionisti SEO possano coprire più ruoli, capire se qualcuno è un generalista o uno specialista aggiunge ulteriore attualità alla competenza quando si legge una biografia dell’autore.
  4. Dettagliare la propria esperienza
    Qui è possibile includere informazioni su:
    – Anni di esperienza lavorativa in aree rilevanti.
    – Opere pubblicate.
    – Citazioni.
    – Lauree e/o titoli.
    – Apparizioni in conferenze e altri interventi.
    – Copertura mediatica.
    – Lavori precedenti.
  5. Evidenziare competenza e affidabilità
    Riassumere la propria esperienza sull’argomento o sugli argomenti di cui si sta scrivendo.
    Ad esempio, se l’argomento di cui si sta scrivendo è la salute, far conoscere al pubblico le proprie credenziali in quell’argomento ci rende molto più credibili di un blogger che scrive articoli simili o di un copywriter. È molto importante negli spazi della salute e della finanza, in particolare, per dimostrare conoscenze e competenze reali ed autorevoli in questi campi. Questi sono i campi indicati con l’acronimo YMYL (Your Money, Your Life), poiché la disinformazione in tali campiha il potenziale di arrecare gravi danni a una persona.
    Confermare e descrivere l’esperienza sulla biografia dell’autore è importante non solo per la SEO, ma anche per gli utenti che sono aiutati ad identificare un determiniato autore come una fonte credibile su un argomento specifico.
  6. Includere profili sui social media
    Includere collegamenti ai social media nelle pagine degli autori è anche un altro ottimo modo per consentire agli utenti di accedere a più contenuti, poichéè possibile collegare propri siti Web personali o aziendali e profili di social media.
  7. Includere una buona foto
    Aggiungere una propria foto come parte della biografia può essere un ottimo modo visivo per mostrare al lettore che c’è un vero essere umano dietro le parole che hanno letto.
  8. Caratterizzare il profilo con la propria personalità
    Sebbene non sia necessariamente richiesto per la SEO, la condivisione di interesse personale e umorismo può rendere una pagina biografica dell’autore più coinvolgente e interessante..

Dove pubblicare un profilo dell’Autore

E qui dobbiamo fare attenzione, molta attenzione, perché se da uin lato è vero che molte piattaforme online hanno già caratterizzato spazi appositi come “profili Autore” (ad esempio Amazon con il suo Amazon Author Central da poco aggiornato ed ora anche in italiano, o la piattaforma Alidicarta con i suoi Profili Autore), e molte testate giornalistiche online stanno creando aree apposite, è necessario distinguere tra i profili autore su una singola testata (con presentazione dell’Autore e collegamenti a quanto dallo/a stesso/a pubblicato sulla testata che ospita il profilo in questione), ed il profilo autore comprensivo/principale (con presentazione dell’Autore e collegamenti a quanto dallo/a stesso/a pubblicato su tutte le varie testate, siti Web o media offline, ecc. dove l’Autore è stato o è tuttora presente, ed a eventuali profili su tali media.
È quindi importante che sia definita e strutturata una gerarchizzazione dei profili, con collegamenti dai profili più settoriali/specialistici al o ai profili più generali (e viceversa), in modo che sia sempre possibile “risalire” fino al “profilo principale”. Questo onde evitare che vi siano duplicazioni che creano confusione, ovvero che Giovanni Rossi che ha un profilo con collegamento ai libri pubblicati su Amazon Author Central sia considerato persona differente dallo stesso Giovanni Rossi che ha un profilo sul sito del quotidiano per cui scrive articoli magari dello stesso settore. In un simile caso è opportuno che Giovanni Rossi abbia un profilo principale (su un proprio sito Web, su un Social Network, o su Google Scholar, con collegamenti ai profili specialistici/settoriali/secondari, e collegamenti in entrata da tali profili con un anchor text del tipo “Giovanni Rossi – Author’s Main Profile”. In pratica, è necessario che si realizzi quello che Johm Mueller di Google diceva quando parlava di articoli di un autore che rimandano a una pagina bio o ad una “posizione centrale”.Possiamo star certi che non mancheranno ulteriori novità nelle attività di implementazione da parte di Google della Autorship e del posizioinamento di contenuti che vengono classificati come EAT.

E. P.

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