Piace il nuovo-vecchio festival Lovers

Lovers Festival

Dunque è andata bene la 34esima edizione del festival di cinema gay, altrimenti detto Lovers, o per dirla tutta lgbtqi, ovvero lesbica, gay, bisessuali, transessuali, queer, intersessuali, per il terzo e ultimo anno diretto dalla regista Irene Dionisio, che ora viene sostituita da un altro direttore.

A giorni si saprà il nome, con un ritardo che non peserebbe più di tanto se i vertici del Museo del cinema, cui spetta la nomina, non avesse annunciato solennemente che il nuovo responsabile sarebbe stato comunicato nel giorno di chiusura del festival, domenica 28 aprile. Insomma, sembrava cosa fatta e invece non lo era.

Ma intanto c’è la soddisfazione per i risultati di questa edizione: trenta per cento di incassi in più, e analogo aumento di “afflusso di pubblico”, così chiamano in un comunicato quelle che presumibilmente sono state le presenze nelle sale del cinema Massimo. In effetti chi ha frequentato il festival ha potuto notare anche semplicemente a vista, per quanto anche le code possano essere ingannevoli, che c’è stata un maggiore “afflusso”. Dopo un primo anno della Dionisio che aveva segnato vistose perdite e un secondo con un dignitoso recupero, cinema gay-lovers si direbbe che ha ritrovato la partecipazione di una volta. E non soltanto nelle presenze, ma anche in quell’atmosfera di vivacità, di complicità, di gradimento da parte del pubblico che segna la buona riuscita dei festival cinematografici.

La 34esima edizione infatti ha messo insieme una serie di ospiti di prima o anche seconda grandezza, alcuni anche popolari e apprezzati dal pubblico più vasto e tutti comunque con una certa caratura cinefila, che le hanno dato quel tanto di glamour capace di innescare lo slancio giusto: Arturo Brachetti, Helmut Berger, Alba Rohrwacher, Giancarlo Giannini, Neri Marcoré, per citarne soltanto alcuni. Tra prestazioni amichevoli e altre pochissimo dispendiose, quella degli ospiti di richiamo è stata una carta vincente. Come era accaduto in passato.

Ma anche qualche correzione della linea editoriale, quella degli stili, dei contenuti, della qualità dei film ha giocato la sua parte.

Un esempio è il film vincitore, lo spagnolo Carmen e Lola, firmato da una donna, la cinquantenne Arantxa Echevarria, in cui due ragazze gitane che si amano, semplici e di poca istruzione, appartenenti a una classe sottoproletaria, realizzano il loro sentimento contro tutto e contro tutti, a cominciare dalle famiglie che le rifiutano anche in modo brutale. Un film di un candore esemplare, pudico, con una storia di gente comune, quella di un mondo di periferia in cui si combatte tutti i giorni per sopravvivere. E non era il solo, tra i film in concorso e fuori competizione. Quasi una rarità per un festival come questo fortemente connotato, in cui i film solitamente raccontano vicende di gay appartenenti alla classe intellettuale, con problematiche esistenziali che non sono la sopravvivenza nella quotidianità della vita.

E c’è anche un aspetto di natura squisitamente stilistica: niente sesso, niente momenti ad alto tasso erotico, niente particolari anatomici spesso francamente ininfluenti nell’economia del racconto.

Chissà se questa è una nuova strada, e magari quella giusta ai fini di una allargamento della platea degli spettatori, che non “obbliga” il cinema gay, e con esso il festival torinese, ad avere contenuti fortemente erotici e personaggi che non hanno il problema di mettere insieme il pranzo con la cena. Un cinema, insomma, finalmente “normale, e così anche il festival.

Certo, dipenderà anche molto dal nuovo direttore, senza dimenticare naturalmente i film, la merce insomma da portare a Torino, che troverà in giro per il mondo.

Per la nuova guida di Lovers, sono in lizza quattro candidati:il più gettonato sembrerebbe Vladimir Luxuria, seguito da due storici collaboratori-selezionatori del festival, i torinesi Angelo Acerbi e Fabio Bo, e il lombardo Pier Maria Bocchi, stimato critico cinematografico e saggista, componente del comitato di selezione del Torino film festival.

Luxuria è certo un nome di grido: sarebbe il primo transessuale alla guida del festival, già primo trans ad entrare jn un parlamento n Europa: la sua popolarità unita all’attività militante da una parte può giovare, e dall’altra meno, essendo un personaggio certo fortemente impegnato nelle lotte per i diritti, ma anche spesso pittoresco.

E alla luce della sua personalità e della sua connotazione, Vladimir Luxuria, potrebbe non avere un’unanimità di consensi. E, dunque, a che cosa sia da imputare il rinvio della nomina non è dato sapere. Certo, ci sono state di mezzo festività e ponti a singhiozzo che forse hanno impedito le necessarie riunioni plenarie del comitato di gestione della Mole. Ma, chissà, potrebbe esserci dell’altro.

Nino Battaglia

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