Venezia nonostante tutto

Cinema - Mostra del cinema di venezia

E’ una scommessa, ma non un azzardo giacché tutto si svolgerà con le massime cautele, le precauzioni e i protocolli del caso. Arriva dunque la Mostra del cinema di Venezia numero 77 (dal 2 al 12 settembre), ed è il primo grande evento internazionale dopo l’emergenza, un dopo che purtroppo riguarda solo le latitudini europee, mentre in altri continenti la pandemia sembra ancora inarrestabile.

Un atto di ottimismo e di ferma volontà che vuole dare al mondo un segnale di fiducia e di speranza: dopo l’annullamento di Cannes, a maggio, ecco il festival della Laguna, “in presenza”, come si è costretti a specificare da qualche mese, con gli addetti ai lavori, giornalisti, pubblico, registi, attori, e tutto il mondo che ruota attorno al cinema. Certo, con un po’ di sordina, pochissimi i divi attesi, con qualche rinuncia, ma dal vivo, in carne e ossa.

Un festival nel formato tradizionale fortemente voluto dal nuovo presidente della Biennale, Roberto Cicutto, insediatosi nel gennaio scorso, una vita nel cinema come produttore di film, distributore – tra le sue creature Mikado e Sacher, negli ultimi anni presidente di Istituto Luce-Cinecittà – che a partire da maggio e giugno ha superato le pur legittime e allora fondate perplessità di molti, a cominciare dal direttore Alberto Barbera.

Ed ecco allora un programma che pur adattato ai tempi che corrono tra qualche contenimento e inevitabili rinunce certo suscita grande interesse, se non altro perché tanti autori che hanno molto da dire sono noti soltanto agli addetti ai lavori e dunque sconosciuti ai più. Registi e spettatori durante e dopo il festival avranno così un interesse in comune: fare conoscenza. Il direttore Barbera con i 62 film in programma più 15 cortometraggi, numeri equivalenti a quelli dell’anno scorso, ha dato grande spazio al cinema italiano che a suo dire dal punto di vista creativo vive un momento felice, al di là delle commediole conformiste e prive di vera caratura artistica che spesso circolano sugli schermi.

E ha piazzato 4 film in concorso, dando anche al tricolore l’onore e l’alta visibilità che spetta ai film di apertura, Lacci, di Daniele Luchetti, con Silvio Orlando, Giovanna Mezzogiorno, Laura Morante, e di chiusura, Lasciami andare, di Stefano Mordini. Anche la scelta dei concorrenti, al netto di eventuali rinunce e al fermo quasi totale della macchina cinema tra febbraio e giugno, è calibrata su nomi e tematiche che di per sé non sono di richiamo garantito per il grande pubblico.

Susanna Nicchiarelli, due anni fa acclamata con il film Nico, presenta Miss Marx, incentrato sulla figura della figlia minore del grande filosofo tedesco sul cui nome è nato il marxismo; una donna della quale la regista vuole mettere in luce il ruolo importante che ebbe nel suo tempo anche come protagonista della nascita dei primi movimenti per l’emancipazione femminile.

Gianfranco Rosi, firma il documentario Notturno, girato ai confini tra Siria, Iran Iraq, Kurdistan; tre anni in quelle terre di guerra di cui di tanto in tanto ci giungono soltanto gli echi cruenti più drammatici, ma non quelli di una quotidianità della vita in guerra non meno devastante di quella dei combattimenti. Rosi si è affermato con Sacro Gra, Leone d’oro sette anni fa, e successivamente con Fuocoammare, Orso d’oro a Berlino: uno stile poetico del documentario originale e inconfondibile.

La palermitana Emma Dante che qualcuno ricorderà per il film di qualche anno fa Via Castellana Bandiera, porta a Venezia Le sorelle Macaluso, storie di donne, cinque sorelle che vivono insieme, confronto tra generazioni, legami fortissimi con malinconiche separazioni.

Il romano Claudio Noce è l’autore di Padrenostro, film drammatico con due ragazzini che sperimentano la violenza degli adulti, in qualche modo salvati dalla forza dell’amicizia; nel cast Pierfrancesco Favino.

Tra questi quattro concorrenti sui 18 film in competizione potrebbe dunque esserci un raro Leone italiano. Storie di donne e donne registe, argomento “femminista” diventato stucchevole col passare del tempo, anche se in realtà lo è fin dall’inizio. Il direttore Barbera non si è sottratto a questo conformismo e con minuziose percentuali che danno conto perfino di insignificanti decimali ha voluto fortemente sottolineare la presenza femminile che peraltro abbonda anche in altre sezioni del festival. L’anno scorso e talvolta anche in precedenza era stato accusato di colpevole scarso interesse per le registe; ora sui 18 film in concorso ben 8 sono firmati da donne. Peccato, ancora un piccolo sforzo e avremmo raggiunto la parità!  E, udite udite, non ha mancato di precisare la cosa più scontata del mondo, senza esserne sollecitato da domande sul tema: si è trattato di scelte unicamente dovute alla qualità e non al “genere”.  Insomma, tutta un’excusatio non petita… Non gli è venuto in mente che tacendo su questi aspetti, minimizzando, lasciando a giornalisti e commentatori la scoperta di “ben” 8 registe su 18 in concorso, e magari anche sorprendendosi dell’altrui sorpresa o compiacimento, avrebbe fatto un figurone.

E per non farsi mancare niente ha attribuito a due donne, peraltro meritevoli, non c’è dubbio alcuno, il Leone d’oro alla carriera: la londinese Tilda Swinton, che tra le tante ammirevoli interpretazioni molti ricorderanno come insostituibile musa di Derek Jarman, e Ann Hui, regista di Hong Kong, tra le più apprezzate cineaste del continente asiatico.

E ancora la giuria, sette componenti, maggioranza femminile, 4 donne e 3 uomini : presidente è Cate Blanchett, premio Oscar, e tra gli altri la francese Ludivine Sagnier con Nicola Lagioia, il direttore del Salone del libro di Torino.

Tra i film in concorso spiccano Nomadland, uno dei pochi americani presenti quest’anno a Venezia firmato dalla sino-americana Chloe Zhao, che ha come interprete la premio Oscar Frances McDormand, vicenda di esseri umani nuovi nomadi, esclusi, emarginati e salvati dal senso di comunità e dalla reciproca solidarietà, storia che si ispira al nostro tempo presente;  e, ancora americano, The world to come, della norvegese che vive a New York Mona Fastvold, con interpreti Casey Affleck e Vanessa Kirby: due coppie di vicini che vivono isolati dlmondo e i loro pesanti disagi interiori dovuti a questo isolamento. Altri nomi di spicco, il russo Andrej Konchalovsky con Cari compagni, vicenda di dura, cruenta repressione ai tempi di Breznev; l’israeliano Amos Gitai con Laila in Haifa, un ennesimo capitolo dell’acclamato regista sulla possibilità e la necessità della convivenza tra israeliani e palestinesi. E ci sono ancora da ricordare il filippino Lav Diaz con Genus Pan, che racconta le sofferenze di oggi nel suo paese dovute al regime; l’americana Gia Coppola, nipote del grande Francis Ford Coppola, che si interroga sull’aspetto inquietante della nostra contemporaneità quale è il controllo dei cosiddetti social media sulle nostre vite; l’italo-inglese Uberto Pasolini, autore di cui va ricordato lo splendido Still life, con Nowhere special, storia di un padre cui  restano pochi mesi di vita che cerca una nuova famiglia per il suo bimbo di 3 anni.

Non mancano i documentari su personaggi di fama, come Greta, del russo Nathan Grossman, che ha seguito Greta Thunberg fin dagli inizi dei suoi viaggi; Salvatore – Shoemaker of dreams, realizzato da Luca Guadagnino su Salvatore Ferragamo, il ciabattino delle star; Paolo Conte, via con me, un racconto del cantautore di Asti, firmato da Giorgio Verdelli, con numerose testimonianze di amici artisti come Zingaretti, De Gregori, Benigni e altri.

Solo alcuni spunti del programma di Venezia 77: il cuore del festival è salvo, non ci sono esclusioni geografiche dovute alla pandemia, ha detto il direttore Alberto Barbera, certo riferendosi alle comprensibili forzose assenze e rinunce. La qualità del programma, insomma, sembra salva.

Certo, ci sarà un po’ di fiato sospeso per via del virus in agguato, ma il cordone sanitario che avvolge le poche migliaia di metri quadrati dell’area della Mostra del cinema è rigidissimo, si tratta di una specie di zona rossa: controllo della temperatura agli ingressi dell’area del festival, chi segna 37,5 gradi non entra, mascherine per tutti e sempre, fino a quando non si sarà seduti al proprio posto, posti numerati, una poltrona vuota tra uno spettatore e l’altro e così tra davanti e dietro, non c’è biglietteria tradizionale, chi vuole vedere un film deve prenotare, code con distanziamento, fotografi e cineoperatori distanziati.

C’è anche la passerella degli attori e registi sul tappeto rosso che tutti chiamano red carpet davanti alle transenne dove si radunano i fan a loro volta distanziati. Una ventata di ottimismo, purché tutto non risulti un po’ patetico.

Nino Battaglia

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