La Paranza dei bambini: il film

La paranza dei bambini

Ragazzi adolescenti come scorie della società, senza alcun valore, senza istruzione e tanto meno educazione al vivere civile, senza speranza e senza futuro. Ad appena quindici anni sono già mafiosi camorristi a tutti gli effetti, ebbri di potere e di denaro estorto, rubato.

A quindici anni e anche meno hanno già sparato e ammazzato.

Il cinema della realtà e di impegno sociale di tanto in tanto fa capolino nelle sale italiane tra la commedia facile facile e una certa poesia a buon prezzo, e talvolta dà ottimi risultati. E’ il caso di La paranza dei bambini, regista Claudio Giovannesi, tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano, che ha partecipato alla sceneggiatura col regista e Maurizio Braucci.

E proprio la sceneggiatura è stata premiata con un Orso d’argento al recente Festival di Berlino, dove il film ha rappresentato l’Italia come unico tricolore in concorso. Un riconoscimento importante, certo, e tuttavia di seconda fascia dopo i tre-quattro principali. La paranza dei bambini in effetti poteva meritare di più, come peraltro testimoniato dagli applausi raccolti nelle diverse proiezioni, stampa e pubblico. E tanto più in un’edizione della Berlinale che non ha offerto opere di valore assoluto, compreso l’apprezzato film vincitore dell’Orso d’oro, l’israeliano Synonymes.

Ma evidentemente la giuria non lo ha valutato come altri spettatori addetti ai lavori e non.

E così, dato che non potevano ignorarlo del tutto, i giurati gli ha riservato un premio di peso inferiore ai primi più importanti, la sceneggiatura, che è sembrato chiaramente un tributo non tanto al film, quanto allo sceneggiatore Saviano. E, ancora, forse non solo alla scrittura delle scene e dei dialoghi, ma anche alla personalità del Saviano medesimo, con il peso che la figura dello scrittore si porta dietro: impegno civile e letterario anticamorra, le minacce, la vita sotto scorta, e certo non ultima la sua vivace e rumorosa opposizione al governo in carica, o meglio, al ministro degli interni Salvini.

Comunque un premio ben meritato che può favorire il percorso del film nelle sale, dove è uscito proprio in concomitanza col festival di Berlino. Un film prezioso, La paranza dei bambini, che coglie una durissima, tragica realtà nei quartieri socialmente degradati di Napoli, qui il Rione Sanità caro a De Filippo e De Sica, e i labirinti dei Quartieri Spagnoli. Non le periferie geografiche della città, dunque, alle quali il cinema sulla realtà partenopea attinge, a cominciare da quel Gomorra che Matteo Garrone ha tratto dallo stesso Saviano e con il quale La paranza dei bambini condivide l’humus sociale, ma il cuore di Napoli, il suo ventre oscuro in cui si consuma la drammatica vita di questi adolescenti.

Un gruppo di ragazzi, 12-15 anni, poveracci di una periferia sociale che non dà speranze, privi di tutto, assetati di consumo, di denaro, del potere assoluto e inebriante, un potere di vita e di morte che può dare una pistola tra le mani, peraltro impacciate e inesperte. Vogliono vestiti di lusso, volgari quanto possono esserlo abiti considerati lussuosi semplicemente perché costosi e indossati dagli effimeri miti del momento, così come orologi di gran marca, appariscenti e a loro volta di cattivo gusto, e gli ultimi modelli di scarpe costosissime, e nuove moto scintillanti, e discoteche dove il potere si misura dal tavolo riservato a carissimo prezzo e dal numero di bottiglie di champagne ordinate.

Capeggiati dal coetaneo Nicola, che ha vissuto sulla propria pelle le estorsioni della camorra, il pizzo che come tutti gli altri piccoli commercianti del quartiere sua madre deve pagare per l’attività di una minuscola tintoria, questi adolescenti vogliono tutto, subito, e a qualunque prezzo, un prezzo che forse neanche si rendono conto di quanto sia alto. E si riuniscono in una “paranza”, pronti a tutto, a far parte a pieno titolo della camorra, a sostituirsi con le buone o con le cattive e un modo di fare da camorristi già maturi, ai mafiosi ormai vecchi, in carcere o latitanti. Del resto, cosa possono fare della loro vita: attorno non hanno nessun modello positivo, non un padre, non una madre che abbia la capacità di andare oltre le premure più comuni, non un insegnante, un prete, una qualunque persona per bene. L’innocenza della loro età è ormai smarrita e neanche è stata mai vissuta, perduta per sempre.

Questi ragazzi sono privi di qualunque punto di riferimento, legati ad ambienti sociali malsani, a un degrado urbanistico che è anche quello dell’anima, a una sottocultura che ha nella canzone neomelodica l’unico modello di vita, lontani anni luce da un vivere che possa dirsi minimamente ordinato, civile. Droga da spacciare e da consumare, territori da conquistare e da difendere dalla concorrenza di altre cosche mafiose, estorsioni e pizzo porta a porta, rapine, furti, minacce, sparatorie che liberano adrenalina, omicidi: questa realtà che li inghiotte, tra barlumi di calcolata consapevolezza e tanta incoscienza, è un girone infernale che non lascia scampo. Vite buttate via, accelerate, febbrili, pronte a spegnersi a quindici anni, e anche meno.

Materiale incandescente quello in mano al giovane regista Claudio Giovannesi, autore di forte sensibilità che nella sua carriera, con i film già firmati, Fiore, Alì ha gli occhi azzurri e altri lavori, si è tenuto sempre nei dintorni di queste tematiche. E purtroppo, per quanto si tratti comunque di una creazione artistica, nel suo film non c’è molta “fantasia”. I fatti, gli ambienti e i personaggi narrati arrivano dalla strada, nel sottobosco di una Napoli malata. E non solo: cambiate alcune forme fortemente connotate, gli orrori del film, giacché data l’età dei protagonisti proprio di orrori si tratta, potrebbero avvenire in qualunque periferia del mondo. E il regista li restituisce sullo schermo in tutta la loro drammatica durezza, e insieme con una delicatezza che, a parte qua e là qualche urlo che sembra di troppo, come qualche scorribanda reiterata, esclude ogni forma di retorica, di buonismo, e tanto meno di compiacimento e di spettacolo, come invece talvolta avviene in certi sceneggiati tv del genere.

Ed è così che il regista insegue i suoi adolescenti mettendo in atto quel “pedinamento” di neorealistica memoria, spesso i ragazzi sono ripresi strettissimi, di spalle, e quando di fronte l’immagine è obliqua, con una macchina da presa ansimante come i personaggi.

E sono tutti presi dalla strada gli otto adolescenti bravi interpreti, nessun attore professionista a parte un paio di ruoli da adulti, compreso il protagonista Francesco Di Napoli, il ragazzo nella vita fa il pasticcere, con il suo viso scolpito, ferino, e le movenze sicure e rapide, come pronto sempre a una nuova sfida.

Certamente da vedere, La paranza dei bambini, anche come testimonianza di una scorcio di paese che forse non conosciamo o che volutamente vogliamo ignorare.

Nino Battaglia

CHIUDI