Festival di Cannes 2019 tra divismo, eccessi, rigore e scandali

Festival di Cannes 2019

Il festival di Cannes è sempre stato, almeno negli ultimi decenni l’occasione di eleganza, talvolta presunta e spesso sedicente – ma certo dipende dall’idea del buono e del cattivo gusto che ciascuno coltiva – da parte delle star che popolano i film in rassegna. Ma questa 72esima edizione che si è appena conclusa lascia la sensazione che si siano raggiunte vette finora mai toccate.

Tra star e starlette è stata una gara a chi era meglio vestita, e in alcuni casi svestita. Al punto che talvolta i film in cui erano impegnate, stando alle cronache del giorno per giorno, hanno rischiato di passare in secondo piano. Ma è il festival di Cannes 2019, bellezza, il luogo in cui si celebra il rito solenne del cinema in tutte le sue declinazioni, arte, spettacolo, riflessioni profonde, divertimento puro, affari, e, appunto, quel divismo che vive ormai soprattutto di lustrini e paillettes. Con una accelerazione di esasperata eccentricità in fatto di abbigliamento che forse rispecchia il “gusto” del tempo presente. L’equazione del resto è semplice, ed è quella usata da sempre per giustificare o quantomeno spiegare talune derive del mondo dello spettacolo e della cosiddetta cultura popolare: il pubblico vuole questo, e noi questo gli diamo. Ma come tutti sanno, spesso è vero il contrario.

Protagoniste naturalmente le donne del cinema, o meglio quelle donne star dello schermo che non certo ingenuamente e tantomeno in quanto vittime del volere altrui si prestano a questo gioco. Siamo in epoca di Me too e di Non una di meno: ebbene, si pensi a quale gesto rivoluzionario sarebbe quello di presentarsi sulla scalinata del festival di Cannes in un castigatissimo quanto elegantissimo tailleur! Un “messaggio” che oscurerebbe qualunque corteo, giornate di festa, striscioni, cartelli e flash mob. Paradossi, certo. Eppure…

Ma per fortuna a Cannes ci sono “anche” i film e il cartellone tra concorso principale e altre sezioni ha suscitato ampi consensi. Qualità medio-alta, insomma. Il vincitore della Palma d’oro, applaudito ma un po’ a sorpresa, giacché molti avevano scommesso su altri titoli più discussi, più ricchi e più blasonati, è proprio quanto di più antidivistico si possa immaginare: il sudcoreano Parasite, di Bong Joon-ho. Regista da noi sconosciuto ai più, tra i suoi film il recente Okja. Una scelta, quella della giuria presieduta da Alejandro Gonzales Inarritu, coraggiosa e condivisa da molti anche perché il film offre un’istantanea della realtà dei giorni che viviamo: la convivenza tra poveri e ricchi che diventa uno scontro, una miscela esplosiva come potrebbe essere la lotta di classe.

Sotto diverse sembianze, in forme dirette o allusive, o evocata dal passato, la realtà del nostro tempo ha segnato diversi film di questa edizione di Cannes. Tra gli altri, da ricordare Sorry, we missed you, di Ken Loach; Le jeune Ahmed, dei fratelli Dardenne; A Hidden Life, di Terrence Malik; I morti non muoiono, di Jim Jarmush; Little Joe, di Jessica Hausner; Il traditore, di Marco Bellocchio.

Proprio l’unico film italiano in concorso è stato ignorato dalla giuria, che annoverava anche la regista Alice Rohrvacher. La vicenda di Tommaso Buscetta, che ha raccolto uno dei più lunghi applausi di questa edizione – ma le ovazioni della sala nei festival non sempre rispecchiano una qualità assoluta, come del resto i fischi e i bu per il contrario –  evidentemente non ha convinto i giurati. E così per il film neanche una segnalazione con un premio minore o per il bravo protagonista Pierfrancesco Favino. Un film che merita attenzione, Il traditore, benché forse un po’ troppo “recitato” e non privo di momenti di retorica che è il male pernicioso del cinema civile italiano degli ultimi decenni. E poi, è ormai diventata stucchevole quella ricerca ossessiva della somiglianza degli attori ai personaggi reali, come se fosse la cosa più importante, per cui, miracolo, Favino sembra proprio Buscetta, mentre Falcone è troppo magro. Però! Tutto qui, il film?!

Così come è passato inosservato l’ottimo lavoro di Quentin Tarantino C’era una volta a Hollywood, che era arrivato sulla Croisette già con la palma d’oro a prescindere.

Cannes, insomma, per il cinema è tutto e il contrario di tutto. Dal divismo al rigore cinefilo. I vertici della Croisette hanno mantenuto la loro intransigenza nei confronti di Netflix: nessun film in concorso, le opere devono passare anche dalle sale cinematografiche e non solo in televisione. Una battaglia di civiltà, una crociata se così vogliamo chiamarla, che vale la pena di combattere. Venezia l’anno scorso aveva invece spalancato le porte a Netflix, e non è stata una bella cosa, anche se molti hanno plaudito alla scelta della Laguna. Il risultato per ora è che i film escono anche in sala in forma anarcoide, caso per caso, sulla base delle convinzioni del momento e dei singoli soggetti in causa. C’è da ritenere che se Venezia avesse intrapreso la stessa scelta del Fesival di Cannes 2019, il colosso della distribuzione di film solo per Tv forse sarebbe sceso a più miti consigli, e oggi avremmo una chiara, necessaria e uniforme regolamentazione.

Comunque Cannes anche quest’anno non si è fatto mancare lo scandalo, anzi due. Il primo è stato la Palma d’oro alla carriera a Alain Delon, contestato da gruppi femministi per i suoi atteggiamenti di un passato piuttosto lontano nei confronti delle donne. Poi l’attore, che oltre alla sua bravura deve la sua fortuna anche a registi come Luchino Visconti, e per la sua fascinosa bellezza… alle donne, nel ricevere il premio si è commosso, ha pianto, e su di lui è sceso il perdono.

L’altro scandalo si deve al francese Mektoub, my love-intermezzo, del franco-tunisino Abdellatif Kechiche: 4 ore di film poi generosamente ridotto dal regista a 3 ore e 45 minuti su un gruppo di giovani che si divertono a più non posso tra relazioni sentimentali promiscue durante un’estate al mare: ben 15 di quei minuti sono dedicati ad un cunnilinguus dettagliatissimo, un quarto d’ora inutile a giudizio di larghissima parte della variegata platea festivaliera, decisamente degno di miglior causa. Il regista non è nuovo a performance del genere: sei anni fa La vita di Adèle aveva qualcosa di simile. Spettatori spazientiti, irritati, disgustati, perfino la protagonista del film è rimasta sconvolta ed è uscita dalla sala in piena proiezione. E ancora una volta da Cannes lo scandalo è stato servito.

Nino Battaglia

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