Il fashion biologico: le tinture naturali

Eta Beta Magazine è da sempre attento alle tematiche ambientali raccontate da diversi punti di vista. Con questa intervista vogliamo raccontare il percorso professionale di Giulia Perin che attraverso la tintura naturale dei tessuti è riuscita a creare tessuti originali.

Giulia raccontaci come nasce il tuo progetto.
Le passioni spesso nascono in modo casuale e imprevisto: la mia storia ne è un tipico esempio.
Mi chiamo Giulia e sono una ragazza di Torino. Fin dalla giovane età sono sempre stata incuriosita dalle culture del mondo, così diverse e proprio per questo fonte inesauribile di arricchimento. Dai 18 anni ho deciso di approfondire questa mia passione iniziando a viaggiare allo scopo di studiare gli usi e i costumi dei più diversi paesi: dalla Nuova Caledonia a Guadalupa, dalle Isole Canarie allIndia, al Nepal, alla Cina per approdare, infine, in Indonesia.  La mia passione per il viaggio e per le altre culture coltivata negli anni e riflessa anche nel mio percorso di studi universitari – non a caso ho conseguito una Laurea in Comunicazione Interculturale presso l’Università degli Studi di Torino –  mi ha portata a scoprire attitudini e manualità assai distinte tra loro ma tutte basate su comuni denominatori molto simili. Nel 2014 ho vinto una borsa di studio all’Accademia di Belle Arti di Bali. La ricchezza culturale e di artigianato dell’isola mi hanno profondamente colpita.
In tutti i luoghi che ho visitato, l’unità di misura che ho applicato per indagare è stato il concetto di estetica che, ovunque, è strettamente legato alla cultura d’origine. Sono affascinata dalle forme creative che ogni civiltà ha sviluppato nel corso dei secoli e che caratterizzano l’identità stessa della nazione, una sinergia ben rappresentata dal motto: “Siamo ciò che facciamo”. L’intelligenza manuale e l’economia delle azioni tendono a ridurre all’essenziale l’uso delle energie atte alla creazione di un oggetto e sovente alcune eccezioni confermano tale regola. Le grandi cattedrali barocche europee o i megaliti delle Isole di Pasqua (questi sono solo alcuni esempi per rendere l’idea del concetto) fanno intravedere un altro aspetto della natura umana: l’estetica. La ricerca del bello e dell’unicità contraddistinguono l’uomo in maniera significativa.

Come ti sei avvicinata al mondo delle tinture naturali?
La prima volta che mi sono avvicinata al mondo delle tinture vegetali è stato nel 2014 in Indonesia. Stavo frequentando l’Università di Belle Arti a Bali e durante un corso annuale di batik tradizionali il  professore ha introdotto tra le possibilità di coloranti per stoffe quelli ottenuti da piante e fiori.
Il fascino di quel mondo mi ha subito attratta e così ho iniziato a sperimentare e imparare le tecniche di estrazione dei pigmenti, la preparazione del tessuto e tutte le fasi tintorie, passo dopo passo.

Il tuo approccio alle tinture naturali tiene in gran conto gli aspetti botanici. Cosa puoi dirci al riguardo?
La prima cosa da fare se ci si vuole cimentare con le tinture naturali è avvicinarsi innanzitutto alla botanica. Conoscere in maniera approfondita le piante adatte, capire quando devono essere raccolte, raccoglierle e conservarle nel modo corretto sono alcuni dei primi elementi da considerare.
Per tingere si usano foglie, fiori, radici e cortecce. Ogni pianta ha le sue regole ma ovviamente anche le sue eccezioni. È importante ascoltare il ciclo della vita vegetativa per riuscire così a estrarre la maggior quantità possibile di pigmento.
La vegetazione locale è indubbiamente diversa da quella temperata europea. Lo studio di tali piante e della morfologia del luogo che le ospita, l’attesa per la maturazione e i complicati procedimenti per renderle utili alla tintura rendono la pratica del tintore molto interessante.
Al mio ritorno in Italia ho deciso di ampliare le mie conoscenze sulle piante tintorie endemiche. Ho imparato a rispettare la stagionalità dei pigmenti, così come si fa con frutta e verdura, un aspetto, quest’ultimo, che stride con le nostre abitudini moderne in cui tutti i prodotti, così come gli oggetti e spesso le stesse persone, devono essere sempre disponibile e facilmente reperibili per essere interessanti agli occhi degli altri o dei potenziali acquirenti.
Le piante che vengono usate per la tintura si dividono in piante comuni e piante storiche. Per piante comuni si intendono quelle che ricoprono un ruolo attivo e quotidiano nella vita delle persone: è il caso del carciofo, dell’ulivo, della quercia, del timo, dell’iperico e  di molti altri. Quelle storiche invece sono piante che sin dall’antichità venivano usate per tingere i tessuti e gli abiti di imperatori, e re ma anche di persone comuni. La robbia e la camomilla sono solo alcuni degli esempi. L’importanza di alcune piante, tra cui il guado (blu) e lo zafferano, hanno influenzato gli scambi economici e di costume in Europa e in Asia creando veri e propri ponti culturali ed economici. Un esempio è dato dalla rubia tinctoria che l’imperatore Napoleone utilizzava per i suoi costumi di corte e che per questo motivo si è diffuso fino in Sardegna. Non dimenticando la porpora usata dagli imperatori romani commerciata dagli antichi fenici.
Dopo uno studio preliminare del variegato panorama vegetale, io mi sono specializzata nell’uso di una parte di piante. Nello specifico mi sono concentrata sull’ indigo (un pigmento blu originario delle zone asiatiche), la robbia (il rosso), la reseda (giallo, una pianta comune e spontanea tipica delle nostre zone), la curcuma (giallo) ed il legno campeggio (per il viola, si usa la corteccia di questo albero).

Come avviene il processo tintorio utilizzando pigmenti di origine vegetale?
Il processo tintorio raccontato in forma sintetica consiste nel preparare la stoffa alla ricezione del colore attraverso una prima fase di lavoro molto importante – poiché permette al colore di entrare nella fibra del tessuto – che si chiama mordenzatura: la  mordenzatura consiste in una bollitura della fibra con dei sali. Dopodiché, una volta procurata  la pianta, si inizia a entrare nel vivo dell’esperienza tintoria. Spesso il procedimento prevede la bollitura della pianta scelta per ottenere il bagno di colore usato per tingere la stoffa. Ma in alcuni casi l’estrazione del pigmento può avvenire a freddo. Quando il colore è pronto si può tingere sbizzarrendosi nel creare tessuti in tinta unita oppure con effetti sfumati, combinando l’uso di più piante tintorie. Si possono seguire regole ferree con ricette preconfezionate fatte di proporzioni tra stoffa e colore oppure si può sperimentare liberamente trovando la ricetta più congeniale ai propri desideri e all’impiego futuro di quel particolare tessuto.
Io prediligo la sperimentazione, cerco di utilizzare elementi naturali per creare effetti nuovi e mantenere viva la curiosità nello scoprire, di volta in volta, un risultato finale sempre diverso. Usufruisco di elementi disponibili in natura che presentano texture interessanti e li adopero come stampi per dare alle mie stoffe decorazioni uniche e originali. Quando l’effetto ottenuto mi soddisfa e la stoffa mi sembra finita, procedo con l’aggiunta nell’acqua di alcuni sali organici che servono per fissare il colore alla fibra così da renderlo resistente nel tempo.

Sia sul tuo sito, sia per l’esperienza in Indonesia – che continua attraverso viaggi di approfondimento periodici – poni particolare attenzione alla tecnica del batik. Puoi descrivercela?
Spesso, dopo il procedimento di tintura dei tessuti, scelgo di decorarli con dei disegni a mano libera utilizzando la tecnica del batik. Si tratta di un’arte molto antica che permette di disegnare sulla stoffa ogni tipo di motivo decorativo anche dettagliato e di piccole dimensioni. Questa tecnica prevede l’uso di uno speciale pennino in rame chiamato canting dotato di un piccolo serbatoio metallico pieno di cera. Dopo aver disegnato a matita il disegno, si procede a ricalcare le linee o gli spazi con la cera liquida, che viene distribuita sul tessuto per renderlo impermeabile al colore della tintura, sino ad arrivare al risultato desiderato. Terminato questo lungo e laborioso passaggio si può iniziare a tingere la stoffa con i colori scelti. Se si vuole aggiungere un secondo o terzo colore, basterà coprire altre parti del tessuto con la cera e ripetere l’operazione di tintura. Quando ciò che vedo mi piace, procedo con la rimozione della cera. Questo è un passaggio un po’ delicato: si porta ad ebollizione l’acqua addizionata con una sostanza gelatinosa chiamata waterglass, dopodiché, raggiunta la temperatura di ebollizione, si introduce velocemente la stoffa e la si muove energicamente nell’acqua per far sciogliere rapidamente la cera. Quando tutta la cera sarà scomparsa dal tessuto e galleggerà in superficie si può procedere con il risciacquo finale della stoffa con acqua corrente e sapone e, infine, con l’asciugatura.

Moda e natura oggi sono diventati due aspetti fondamentali del tuo lavoro. Come sei riuscita a conciliare e a dare sostanza a queste tue passioni?
Dopo aver imparato il mestiere ho scelto di approfondire le tecniche di colorazione naturale usando quindi pigmenti vegetali in sostituzione di quelli chimici industriali. Ho iniziato ad intendere il tessuto come una tela su cui disegnare, sperimentare e creare il mio linguaggio artistico. Mi sono quindi avvicinata alla botanica tropicale, alle fasi vegetative delle piante e ai luoghi in cui queste ultime crescono spontaneamente.
Il mio interesse per questa pratica è quindi interdisciplinare: passo da un piano teorico a uno pratico con un dialogo costante tra questi due aspetti così strettamente connessi.
La mia attività si divide essenzialmente in tre rami: la creazione di stoffe personalizzate per vari designer e creatori di moda/stilisti italiani e indonesiani; la creazione di una personale linea di abiti realizzati esclusivamente con tessuti (lino, bamboo, ortica e canapa) e colorazioni naturali e l’organizzazione di workshop sull’arte tintoria in cui mi propongo di trasmettere tutto ciò che ho imparato del settore in questi anni di lavoro e di viaggio.
Inoltre collaboro con designer per creare dei tessuti personalizzati che si avvicinino alle esigenze specifiche del cliente.

Quali sono le parti che ami di più del tuo lavoro?
Le parti che più amo del mio lavoro sono tutte! Adoro andare a cercare le piante e scovarle negli angoli più remoti di prati e vallate. Portarli a casa come un prezioso tesoro e disporlo con cura per permetterne una perfetta conservazione.
Mi piace collaborare con designer e creativi perché è una forma unica per generare nuovi linguaggi e dar vita a qualcosa che prima non c’era attingendo dalle nostre radici, dalla creatività manuale e culturale e dalle esigenze pratiche.

(gd)

Per saperne di più: puoi seguire il lavoro di Giulia Perin sul suo sito Emina,  inoltre se vi ha incuriosito la tecnica del batik potete guardare il video di Giulia che racconta le varie fasi di questa tecnica tintoria

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