Dal 15 al 18 giugno Bologna ospiterà la seconda edizione della Biennale di prossimità. Un’occasione da non perdere per parlare, riflettere, comunicare e portare esperienze che hanno in comune la solidarietà, il sostegno reciproco, la vicinanza a chi è in condizioni di fragilità e l’impegno attivo per persone e territori. Numerosi i temi affrontati in questa edizione: gli acquisti collettivi, il bisogno di cibo e di beni primari, la casa e il co-housing, la qualità della vita, la mutualità, la cittadinanza, il credito, la rigenerazione urbana, l’imprenditorialità sociale, la salute.
Di questo abbiamo parlato con Georges Tabacchi co-direttore insieme a Gianfranco Marocchi della Biennale della Prossimità 2017.
Come nasce l’idea della Biennale di Prossimità e in cosa si differenzia da altre reti?
Sin dal primo incontro in Sicilia per ragionare sui temi della prossimità si percepiva nei partecipanti la voglia di stare insieme, ma al contempo eravamo tutti coscienti della necessità di superare logiche di appartenenza specifiche. È così che è nata l’idea di una Biennale della Prossimità, intesa come prodotto collettivo. Creazione e lavoro condiviso, svolto insieme, per dare vita ad un qualcosa di tutti. Si sarebbe in seguito, man mano, deciso, chi voleva o non voleva esserci, o voleva restare a livello di promozione nazionale o locale. Questo credo sia stato il salto di qualità, la necessaria spinta per realizzare due edizioni della Biennale, un prodotto collettivo che continua ad emozionarci, proprio perché si generano eventi, riflessioni e opportunità collettive, dove il marchio – Biennale della Prossimità – è “un bene comune”, non di un singolo e dove soprattutto si produce e crea insieme.
La “prossimità”, la “vicinanza” possono diventare una risposta ai bisogni delle persone?
La prossimità può essere intesa come una risposta e una forma di tutela creata dalle persone per rispondere a bisogni per cui non sono più sufficienti i servizi e l’Ente pubblico. I motivi di questo non sono da ricercarsi esclusivamente nella minore disponibilità di risorse, ma anche in vere e proprie questioni culturali. Oggi i singoli sempre più si relazionano con servizi ed Ente pubblico in termini di utenti e non di persone, determinandone in questo modo l’esaurimento del compito di trovare risposte ai bisogni. Allora la nostra idea è proprio quella di promuovere una cultura della prossimità, per dare alle persone la possibilità di trovare soluzioni ai bisogni collettivi. Se le persone sono unite, sono partecipi, il sistema non lo subiscono e soprattutto sono in grado di dire “questo non va”. Inoltre limitandosi ad essere semplici utenti si rischia di perdere la capacità di difendersi. Infine la Biennale della Prossimità è un luogo aperto a tutti coloro che vogliono partecipare e lavorare insieme, senza distinzioni. Questo naturalmente a volte può produrre difficoltà, però l’obiettivo di mettersi insieme per un bene comune, semplifica anche la ricomposizione delle stesse.
Quali sono le principali caratteristiche dell’edizione di Bologna?
In questa edizione ci sono due percorsi, uno nazionale ed uno locale, il primo coinvolge 15 promotori nazionali, che non sono gli stessi di Genova, a testimonianza dell’apertura verso chiunque. L’aspetto locale invece sicuramente riassume lo spirito, la partecipazione e la condivisione dell’idea. Basta osservare quello che succede sui territori, a Bologna, come lo è stato per Genova c’è un coinvolgimento pazzesco. Sono tantissime le persone, le organizzazioni, gli investimenti da parte di tutti per la preparazione delle quattro giornate. Per l’edizione 2017 si è iniziato a lavorare da marzo 2016, calendarizzando incontri mensili con tutte le realtà interessate a dare vita a questo percorso.
Quali le novità di quest’anno?
Sono principalmente due, ma non si esauriscono con queste. Per la prima volta c’è un art director – Chiara Castaldini – e c’è un App messa a punto dal Dipartimento d’informatica dell’Università di Torino. Quindi accanto alla Biennale coesisteranno una miriade di spazi di sollecitazione estetica, per una Biennale sempre più bella. Alcuni esempi: un gruppo di over 60 ci farà ballare, un gruppo multietnico ci farà suonare, affiancando ai momenti dedicati al pensiero, allo scambio, “momenti vissuti” e da vivere insieme. L’interesse dell’Università è proprio uno degli elementi di novità di quest’anno, FirstLife, il social network civico sviluppato dal Dipartimento di Informatica dell’Università di Torino, dove è possibile contestualizzare le attività di collaborazione e co-produzione locali, sarà a disposizione della Biennale della Prossimità. Sono presenti anche la facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna e di Scienze della Comunicazione dell’Università di Genova. Tutte e tre insieme – strette, potremmo dire, in un legame di vicinanza – per elaborare una ricerca sull’impatto della prossimità con il Centro di Ricerca Isnet attraverso la produzione, somministrazione ed elaborazione di un questionario. Un esempio di prodotto collettivo che uscirà come Biennale della Prossimità, ma voluto, costruito e realizzato dalle Università.
Alcuni appuntamenti da non perdere?
Come a Genova ci sarà la Cena di strada (sabato 17 giugno, ore 20.30 in via Torleone), e concluderemo un’iniziativa iniziata proprio a Genova, con la presentazione del libro “Tutti”. Nella precedente edizione della Biennale nel capoluogo ligure era partita una piccola collezione locale di racconti del sociale nata all’interno del Social Club di Genova, noi l’abbiamo allargata alla dimensione nazionale. Ora i racconti sono ventotto, raccolti in un volume, che verrà presentato sabato pomeriggio. Un altro prodotto collettivo completato.
Infine quali credi siano le realtà laboratorio più interessanti sui temi della prossimità a Torino?
Direi le Case di Quartiere come laboratori di co-generazione, anche se sarà interessante capire come si svilupperanno i patti di collaborazione previsti dal Regolamento sui Beni Comuni Urbani, come questo impatterà su Torino, soprattutto nelle periferie. Perché mi pare accada un po’ ovunque in Italia, in alcuni territori in forma più critica rispetto ad altri, il sistema pubblico, privato sociale sembra essere al collasso. Al punto tale che tutta l’innovazione non viene più richiesta a questo binomio, ma all’associazionismo, al volontariato. È come se il Terzo Settore avesse perso questa possibilità, questa creatività generativa. Quello che mi auguro con la Biennale della Prossimità, o in altre forme, è esattamente il contrario, riuscire a rimettere tutti insieme: pubblico, privato sociale, ma anche tutto il mondo delle risposte spontanee. Perché solo se si è insieme si concorre a lavorare per essere moderni, attuali e rispondenti ai bisogni di oggi.
(G. B.)
II Biennale della Prossimità
15-18 giugno 2017 – Bologna
Per saperne di più: prossimita.net