Immigrazione o invasione? Calano gli sbarchi, aumentano le morti

Morti di migranti nel Mediterraneo

Al giorno d’oggi alterare la lettura di un dato, di un “fatto”, o descriverlo superficialmente o peggio inventarlo ad hoc, è la magia con cui a seconda del “fine politico” si riesce a trasformare la percezione in realtà, influenzando società, comportamenti, emozioni ed agire comuni, non sempre in positivo.

È quello che succede regolarmente da un po’ di anni, almeno dall’inizio della crisi economico-finanziaria del 2008, quando si parla di immigrazione e accoglienza.
Eppure in Italia anche se sono calati gli sbarchi di immigrati, e di conseguenza gli arrivi, le vittime, le morti di migranti nel Mediterraneo non sono cessate, così come le criticità legate all’accoglienza.
È bene ricordare che gli sbarchi, in Italia, sono in diminuzione dal 2016, quando furono oltre 181.000. Al 31 agosto 2018 se ne registrano 20.001, con una diminuzione di oltre il 79% rispetto allo stesso periodo del precedente anno. Dati che vanno letti alla luce non del divieto di approdo delle navi delle ONG nei nostri porti, ma di accordi internazionali che hanno di fatto limitato l’afflusso di migranti e profughi in Europa attraverso la rotta balcanica e del Mediterraneo Centrale (dalla Libia). In particolare l’accordo di Ue e Turchia, siglato il 18 marzo 2016 e quelli stipulati dal governo italiano con i sindaci libici a inizio 2017. Accordi sui quali continuano a persistere numerosi dubbi in merito al trattamento dei migranti e sulle garanzie offerte loro, che palesemente sembrano ledere i diritti umani. Da un lato lo stato dei “centri di raccolta” libici dove le persone sono trattenute o detenute nonostante non abbiano commesso alcun reato, stipati in strutture le cui condizioni igienico-sanitarie sono spesso inaccettabili (non mancano le analogie con alcune situazioni italiane) e dove subiscono torture, dall’altro le condizioni disperate per le persone (per lo più provenienti dalla Siria), bloccate negli hotspot dell’isole greche dell’est Egeo. Risulta inoltre complicato non riflettere sull’efficacia dell’operazione Mare Nostrum se oltre all’aumento delle morti e dei dispersi in mare, in questi mesi del 2018, circa il 30-35% dei salvataggi è avvenuto ad opera delle navi delle ONG di stanza nel Mar Mediterraneo. Al 6 settembre sono 1.565 le persone decedute o disperse  lungo le tre rotte del Mediterraneo (la maggior parte 1.129 lungo la rotta del Mediterraneo Centrale). Si calcola che tra gennaio e luglio 2018, nel Mediterraneo centrale abbia perso la vita o risulti dispersa una persona su 18, in confronto a una su 42 nello stesso periodo del 2017. Le rotte sono diventate più pericolose, le azioni di ricerca e soccorso “istituzionali” si sono ridotte e i mezzi per l’attraversamento diventano via via più obsoleti.
Ci si dimentica che in Libia sono oltre 700.000 i migranti presenti nel paese, in fuga dall’area sub sahariana limitrofa, in quanto non solo nazione di transito, ma anche di arrivo e sono proprio i trattamenti ricevuti a decretarne la necessità di un’ulteriore migrazione. Così come la maggior parte dei migranti che giungono nei paesi di primo ingresso mediterranei (oltre l’Italia, la Spagna e la Grecia), hanno come progetto di vita la continuazione del viaggio verso Nord. Ad arrivare in Italia non sono solo persone in fuga da difficoltà economiche e sociali che interessano il Nord Africa o spinte dall’impossibilità di ottenere visti di ingresso regolari in Europa, ma anche migranti non economici al 31/08/2018: 3.279 tunisini, 3.027 eritrei, 1.595 sudanesi, 1.248 nigeriani, 1.237 pakistani.

Ad approdare sulle nostre coste sono appunto anche vittime di guerre, violenze e persecuzioni. Secondo il Global Trends dell’UNHCR, sono 25.4 milioni i rifugiati che hanno lasciato il proprio paese a causa di guerre e persecuzioni, 2.9 milioni in più rispetto al 2016, l’aumento maggiore registrato dall’agenzia ONU per i rifugiati in un solo anno. Nel 2017 si è “emigrati per guerra” non esclusivamente dalla Siria (3.000.000 di profughi), ma anche per lotte tribali della Repubblica Democratica del Congo (2.000.000 di sfollati) e  ad accogliere il maggior numero di rifugiati non sono ne l’Italia ne l’Europa. La Turchia ospita 3.5 milioni di rifugiati, seguita da Pakistan, Libano e Uganda con 1.4 milioni e circa l’85% dei rifugiati risiede nei paesi in via di sviluppo. Quindi si potrebbe ricordare tranquillamente alla vox populi imperante che se non li stiamo aiutando a casa loro, sicuramente, se lo sono, ciò avviene lontano da noi ed in paesi che a loro volta dovrebbero essere sostenuti. In Italia la percentuale di rifugiati è di 3 ogni mille abitanti, in Germania di 11.8, in Francia di 5.1, in Libano di  164 ed in Giordania di 71, nella “top-ten” rappresentano l’UE solo la Svezia (24) e Malta con 19 rifugiati ogni mille abitanti. Una realtà, quella dei numeri, molto lontana dalla percezione alimentata dal dilagante sovranismo sostenuto a livello europeo dal cosiddetto “Gruppo di Visegrad” e a cui, almeno una parte del nostro esecutivo, pare tendere. Visione secondo la quale solo erigendo muri, negando approdi e ingressi si può rispondere all’invasione in atto (che almeno in Europa non parrebbe esserci). Così analizzando i numeri si scopre che Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia e Slovacchia, occupano gli ultimi gradini della classifica dei rifugiati presenti tra i confini europei, rispettivamente  con 0.58 rifugiati ogni mille abitanti, 0.34, 0.31 e 0.18. Speciale graduatoria i cui penultimi posti sono poi occupati da Bulgaria e… Italia.

Tutto questo mentre lunedì 10 settembre  durante la 39a sessione del Consiglio dei diritti umani, la dichiarazione di apertura dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet (ex Presidente del Cile, sequestrata ed internata dal regime di Pinochet) prospettava tra le priorità “l’invio di personale in Italia, per valutare il netto aumento segnalato di atti di violenza e razzismo contro migranti, persone di origine, africana e rom”, segnalando inoltre come negare l’ingresso alle navi da soccorso delle ONG possa avere “conseguenze devastanti per persone già di per se vulnerabili”. Intanto a maggio l’Italia si è candidata all’ingresso nel consesso elettivo all’Assemblea del Consiglio Diritti Umani dell’ONU di ottobre, tra i cui temi figurano la lotta contro ogni forma di discriminazione e la lotta contro la tratta di esseri umani.
Misteri della ragion di stato!

Occorre poi iniziare a prendere confidenza con nuove categorie di migranti, non ci si allontana dalle proprie case e dai propri affetti solo per fame, guerra, violenza e persecuzioni, si scappa anche dal clima. Gli effetti devastanti del global warming stanno infatti generando un nuovo tipo di immigrati quelli ambientali, troppo spesso confusi o assimilati a quelli economici. Terremoti, alluvioni, uragani continuano a generare sfollati e potenziali migranti che non hanno al giorno d’oggi una formale tutela umanitaria (riconoscendo la Convenzione di Ginevra lo status di rifugiato solo a “chi è perseguitato per la razza, la religione, la cittadinanza, l’appartenenza a un determinato gruppo sociale o le opinioni politiche”).

Una realtà complessa che troppo spesso rimane sommersa degenerando in una percezione distorta del fenomeno immigrazione, soprattutto vicino a noi, nel nostro quartiere, nella nostra città e nell’opinione pubblica. Secondo una recente ricerca dell’Istituto Cattaneo sulla percezione dell’immigrazione in Italia la risposta degli intervistati italiani alla domanda  “Qual è la percentuale di immigrati rispetto alla popolazione complessiva in Italia?” è risultata quella con il maggior errore tra tutti i paesi dell’Unione Europea (+17.4 punti percentuali).

G. B.

Dati e per saperne di più: L’Atlante dei migranti – Lab del Gruppo editoriale L’espresso; Sbarchi e accoglienza dei migranti: tutti i dati – Ministero dell’Interno; IOM –Organizzazione Internazionale per le Migrazioni; UNHCR – Alto Commissariato ONU per i Rifugiati; UNHCR – Viaggi Disperati; Associazione Carta di Roma; Immigrazione in Italia: tra percezione e realtà (Istituto Carlo Cattaneo)

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