Con una rara tempestività, a poche ore dalle dimissioni di Laura Milani da presidente del Museo del cinema, ecco la nomina da parte della Regione di Sergio Toffetti come componente del Comitato di gestione, in pratica il consiglio di amministrazione della Mole. Toffetti è un esperto di lunghissimo corso, è il caso di dire la persona giusta al posto giusto. Figura sovrapponibile a quella di Alberto Barbera, già direttore del Museo e da tempo alla guida della Mostra del cinema di Venezia.
Torinese, critico e storico del cinema, autore di numerosi saggi e tra l’altro di restauri di numerosi importanti film, per dirne uno, Roma città aperta, fino a pochi mesi fa, quando è andato in pensione, è stato direttore della Scuola nazionale di cinema del Piemonte, il settore Animazione del Centro sperimentale di cinematografia di Roma. E’ direttore dell’Archivio del cinema d’impresa di Ivrea, ed è stato vice direttore e conservatore della Cineteca nazionale. A Torino è stato tra i primi collaboratori del festival Cinema Giovani, poi Tff, e al Museo negli anni ’90 è stato responsabile della programmazione. Una scelta di prim’ordine, quella di Toffetti per il Museo. C’è attesa per il nuovo direttore della Mole: a questo punto, la presenza di Toffetti è una garanzia.
La nomina tempestiva, tuttavia non può mettere in secondo piano le dimissione da presidente di Laura Milani e non può far dimenticare alcuni interrogativi che lascia la sua decisione. Perché non risulta facile accontentarsi della versione ufficiale. E basterebbe un solo motivo: proprio in questi giorni si sarebbe dovuto conoscere il nome del nuovo direttore della Mole, scelto dal Comitato di gestione dopo accurato bando pubblico affidato a una società privata specializzata nel campo. Una procedura, bando e gestore esterno del concorso, seguita non solo, e forse non tanto, in ossequio alla legge, ma soprattutto per dare certezza di massima trasparenza sulla nomina del direttore.
E alla viglia di una decisione così importante il presidente, la figura più importante, con più poteri e più autorevolezza del Museo che fa? Si dimette.
Certo, Laura Milani potrebbe aver lasciato per rispetto del suo successore. Ma il presidente era in carica da appena un anno e aveva davanti altri due anni di mandato. E dunque avrà avuto motivi urgentissimi per dimettersi. Ne parla nella lettera inviata al presidente della Regione Chiamparino, l’ente al quale per tacito accordo col Comune di Torino spetta l’indicazione del presidente: la Milani dice di dimettersi per tornare ai suoi impegni come presidente e direttore dello Iaad, l’istituto privato di formazione per l’arte applicata e il design, e la scuola elementare privata La scuola possibile, aperta da un anno. Due sue creature, aggiunge, che hanno bisogno di tutto il suo impegno, attenzione e presenza.
Motivi più che legittimi ed evidentemente urgenti. Detto per inciso, non si può dimenticare che la Milani nel presentarsi attraverso il suo curriculum all’atto della nomina a presidente, si era dilungata in un modo che era apparso fuori misura nel descrivere le attività e finalità della sua scuola elementare… Un dettaglio, niente di più, ma che può avere la sua importanza; anzi, talvolta sono più importanti i dettagli dell’insieme.
Ma evidentemente la presidente del Museo un anno fa al momento della nomina non aveva calcolato che il nuovo impegno avrebbe sottratto così pesantemente, al punto da rinunciarvi appena dodici mesi dopo, tempo, attenzioni ed energie alle sue attività private. Allora forse sarebbe stato meglio a suo tempo riflettere di più; riflessione che le avrebbe potuto chiedere anche chi la chiamava alla presidenza del Museo del cinema, l’assessore alla cultura della regione Antonella Parigi, per non ritrovarsi così precocemente con questa importante sede vacante perché il prescelto ora vuole dedicarsi di più ai suoi impegni privati e non può mantenere anche l’impegno pubblico.
Se questi, dunque, sono i legittimi motivi delle precocissime dimissioni, allora la sua nomina poteva benissimo essere evitata.
La presidente dimissionaria non manca di ricordare i suoi obiettivi raggiunti, cosa che la incoraggia ad andarsene: avere riportato in ordine i conti del Museo, da un deficit di 181 mila euro a un avanzo di 545 mila euro; aver predisposto un piano di rilancio, chiamato “strategico”; avere svolto il bando per dare alla Mole un direttore. Ecco, proprio quando a suo dire, ma anche a un’evidenza dei risultati, compresa la crescita del numero di visitatori, il Museo imboccava la strada giusta dopo quasi due anni di incertezze, proprio quando la presidente avrebbe potuto governare e consolidare con il nuovo direttore e il Comitato di gestione questo rilancio, la presidente che fa? Paga dei risultati, si dimette.
In realtà, a parte i suoi impegni personali, nelle sue dimissioni potrebbe esserci dell’altro.
A cominciare dalla nomina del direttore. La Milani avrebbe voluto, come peraltro è doveroso, che tutto rimanesse riservato fino alla comunicazione ufficiale. Nemmeno i componenti del Comitato, lei compresa, avrebbero dovuto sapere alcunché di quanto andava facendo la società privata incaricata di gestire il bando. Invece, da qualche tempo circolavano voci e rumori. Si è saputo che i concorrenti sono stati un centinaio. Poi è venuta fuori un’altra cifra, 38. Infine si è saputo che la rosa dei finalisti comprende 6 nomi. Eppure, tutto doveva rimanere riservato, almeno fino alla fine. Una condizione che la Milani aveva posto come irrinunciabile. Qualcuno, insomma, non ha mantenuto l’impegno. C’è da dire, tuttavia, che la pretesa della presidente di non sapere, né lei, né gli altri del Comitato, è apparsa un po’ eccessiva: perché il responsabile finale della procedura e della sua correttezza alla fine è il Museo, e non la società privata.
Così, dunque, si può pensare che sul nome del direttore possa essere legittimo qualche “suggerimento”, dal momento che la regola finora prevede che il presidente del Museo è di “competenza” della Regione, e il direttore del Comune. Del resto, era stata questa suddivisione a far fallire il precedente bando, quando il nome prescelto era stato considerato troppo legato al Pd, e dunque non gradito al Comune.
Chissà se qualcosa di simile non stia accadendo adesso. Anche perché si è saputo che il numero di 6 candidati della rosa di finalisti da qualche parte viene ritenuto insufficiente.
C’è poi la nomina dei direttori di due festival: cinema Gay, ovvero Lovers e CinemAmbiente. Per il primo il Comune, nella persona dell’assessore Giusta, aveva indicato Irene Dionisio. Il suo primo anno era stato un flop. Il secondo, due mesi fa, è andato meglio. Ora il suo mandato scade. E c’è in ballo un altro anno per lei, ma è solo un’opzione, oppure bisogna fare una nuova nomina. Sempre in casa Lovers, scade il mandato del Presidente Giovanni Minerba, fondatore del festival e defenestrato senza troppi complimenti. CinemAmbiente da vent’anni ha il direttore che lo ha fondato, Gaetano Capizzi. Anche in questo caso si parla di una necessità, presunta ma non del tutto giustificata, di “aria nuova”.
Non è fuori luogo pensare che le dimissioni di Laura Milani abbiano qualche legame con tutto questo, chi propone, chi dispone, chi decide…
Ma c’è di più. I rapporti in seno al Comitato di gestione pare che non siano stati idilliaci. In politichese si dice “dialettici”, cioè con tensioni e polemiche. E’ di un paio di settimane una decisione che la Milani, e con lei ambienti politici a lei vicini, ha considerato quantomeno un grave sgarbo, se non fuori dalla legalità. Il Comitato, in sua assenza, aveva conferito i poteri di direttore del Museo alla vice presidente Anna Paola Venezia, che rappresenta la Fondazione Crt. Il direttore pro tempore, Donata Pesenti Compagnoni infatti aveva chiesto di rimanere assente per un lungo periodo, e bisognava attribuire a qualcuno i poteri del direttore. Ne erano seguite forti scintille.
Anche i rapporti tra il vertice del Museo e la struttura dei dipendenti e collaboratori non erano sembrati dei migliori. In occasione di manifestazioni pubbliche non era difficile cogliere il senso di silenzi imbarazzati o atteggiamenti che dicevano molto di più di qualunque espressione verbale. Era evidente che la Milani non godeva della considerazione necessaria.
Recentemente alla conferenza stampa di CinemAmbiente la presidente Milani aveva definito questo festival il più importante di Torino: tra alcuni invitati di rilievo erano volati sguardi increduli, e qualcuno di alto rango aveva profferito anche qualche espressione non proprio ripetibile.
C’è ancora da ricordare che il Museo, a causa anche delle minori risorse messe a disposizione dal Comune, aveva dovuto tagliare i finanziamenti ai festival compreso il Tff, per il quale aveva anche lanciato nuove idee e proposte di “contaminazione” con altre con altre forme d’arte e manifestazioni culturali che avevano lasciato molte perplessità.
E non ultimo c’è il fatto che tra meno di un anno le elezioni regionali potrebbero non confermare politicamente i vertici che hanno nominato Laura Milani.
Ecco, al di là dei suoi impegni personali nelle sue dimissioni potrebbe esserci anche un po’ di tutto questo. La presidente che se ne va spesso aveva sottolineato la sua propensione alla franchezza, portato anche di un carattere forte che cercava di esibire e di comunicare come per non lasciare dubbi, perfino privo di modestia, falsa o vera che sia. Ebbene, ora applicare la stessa franchezza anche per spiegare le sue dimissioni.
Nino Battaglia