Nel mondo sono sempre più le persone che vivono al di sotto della soglia di povertà di 1,90 dollari al giorno, come anticipato dal “Report sulla povertà 2018” della Banca Mondiale, che verrà pubblicato il 17 ottobre, in occasione della Giornata mondiale del rifiuto della miseria. E in Occidente aumentano a dismisura le distanze sociali interne, dove nuove forme di miseria vengono sperimentate dalle classi in maggiore difficoltà.
È ancora tempo di assimilare la povertà al solo reddito o a quali e quanti beni si possiedono? No. Dal sorgere della crisi finanziaria a oggi nuove categorie di poveri: giovani, lavoratori precari, maschi adulti si sono affacciate alla ribalta della società rendendo desueta la vecchia percezione di povertà. Comprendere e trovare soluzioni al problema dell’indigenza è cosa ardua. Di non semplice soluzione, ma provare a farlo continuando ad insistere su semplici equazioni monetarie significa intestardirsi in una visione miope dei mutati scenari globali e non rendersi conto che il vantaggio di pochi può essere mantenuto solo a discapito dei molti. Oppure può voler dire scegliere di farlo deliberatamente. Una tesi sostenuta tra gli altri dal Premio Nobel per l’economia 2001 Joseph Stiglitz, per il quale “L’aumento del divario tra ricchi e poveri non è un fenomeno inevitabile, ma la conseguenza di scelte politiche il cui scopo era proprio quello” [Lecture alla Conferenza Internazionale sulle Diseguaglianze, 2-4 novembre 2017 Bologna].
Se da una parte le anteprime del Report registrano preoccupazione, in quanto il trend di riduzione degli indici di povertà è notevolmente rallentato nell’ultimo periodo e la triste classifica del paese più povero al mondo nel 2018 vedrà la Nigeria superare l’India, dall’altra i dati di diversi studi sulle nuove povertà in Italia risultano allarmanti.
Oggi, in una società consumistica un discorso sulla povertà che abbia appiglio con la realtà non deve essere solo correlato al lavoro – se si era disoccupati non si disponeva di un reddito – ma ai livelli di consumo a cui si può accedere, figurarsi poi se il criterio per valutare la povertà si riduce alla possibilità di avere 1,90 dollari al giorno. Una contrazione, e non solo l’assenza del salario, ad esempio può influire per le famiglie sull’istruzione universitaria dei propri figli, oltre che sul benessere, non solo materiale, delle stesse, meno giorni di vacanze “da qualche parte”, meno cinema, meno pizze. Soprattutto leggendo le statistiche, a metà 2017, secondo dati Ofxam oltre il 66% della ricchezza in Italia era detenuto dal 20% della popolazione, a preoccupare dovrebbe essere un’evidenza: l’aumento del dislivello fra chi non ha e chi ha, con un conseguente effetto sulle aspettative e le speranze di molti. Secondo un’indagine della Coop, sono “il 62% degli italiani che si trovano nel 20% inferiore nella distribuzione del reddito” a rimanere tali anche dopo 4 anni, “una percentuale superiore di 5,5 punti percentuali rispetto alla media dei 36 Paesi Ocse”. Pochi paperoni, tanti paperini, le analogie con la Nigeria non mancano anche per l’Occidente, essendo il paese dell’Africa Occidentale insieme al Sudafrica le terra più ricca dell’intero continente.
E chi sono questi nuovi poveri? Nella recente audizione sulla Nadef davanti alle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato, il Presidente dell’Istat Maurizio Franzini ha evidenziato come la povertà colpisca (nel 2017) il 6,2% dei cittadini italiani (3 milioni 349mila) e il 32,3% degli stranieri, quasi il 50% della totalità si trova al Sud. Il dato più alto dal 2005 ad oggi.
Giovani e maschi adulti parte di coppie o famiglie principalmente interessati dalla riduzione dell’occupazione. Così in molti casi l’unico reddito è rappresentato dal lavoro delle compagne o mogli che svolgono per lo più lavori part-time e a tempo determinato, l’unico welfare rimane quello familiare e il mercato del lavoro ricerca sempre pìù personale non qualificato, prospettando ai neo laureati l’emigrazione.
G. B.
Per saperne di più: Decline of Global Extreme Poverty Continues but Has Slowed: World Bank; PSPR 2018 – Ch1 – Summary; Rapporto Coop 2018