Un programma ricco e sulla carta di grande interesse, come si conviene a un festival di lunga tradizione che si è imposto nel tempo in Italia e in Europa. E’ Cinema Gay che torna, con un nuovo nome, “Lovers”, per la trentaduesima edizione, dal 15 al 20 giugno nella sala Massimo, a Torino. Oltre 100 i film in cartellone arrivati da ogni parte del mondo, nei sei giorni della rassegna; sette sono nella vetrina principale, il concorso internazionale.
Ma sono le novità, alcune appariscenti, a caratterizzare questa edizione: nuovo direttore, nuovo nome, nuova veste, nuove date. Intanto il direttore: la giovane regista torinese Irene Dionisio, nominata nel febbraio scorso al posto di Giovanni Minerba, che aveva fondato questo festival con Ottavio Mai, prematuramente scomparso anni fa, e che lo ha diretto con onore fino all’anno scorso. Ora Minerba è stato nominato Presidente, con incarico “operativo” e non solo di rappresentanza, ma la sua sostituzione, ad inizio anno, non era stata indolore; anzi, per i modi bruschi con cui era avvenuta, era proprio sembrata una defenestrazione.
C’era a Torino chi, da qualche tempo, voleva cambiare il direttore di cinema gay, e la nuova amministrazione è stata propizia al cambiamento. Erano seguite polemiche, il fondatore non era stato adeguatamente coinvolto e se ne era giustamente risentito. Ma poi tutto, per il bene del festival, era rientrato. Irene Dionisio, 31 anni, è regista di alcuni documentari e cortometraggi, e di un solo film, “Le ultime cose”, girato un anno fa. Un’opera, che pur ammessa nella Sezione della critica del festival di Venezia dell’anno scorso e valutata con rispetto, non aveva entusiasmato né la critica, né il pubblico. Ma a suscitare più di un interrogativo era stata la sua totale inesperienza in fatto di festival, e naturalmente di questo Cinema gay.
La sua nomina, dopo le polemiche, era stata fatta con molto ritardo, e per questo è stato necessario spostare in avanti il festival, da fine aprile a metà giugno. La Dionisio ha avuto appena 3 mesi per preparare il programma, davvero pochi. Comunque, almeno sulla carta, ce l’ha fatta.
Il nuovo direttore ha sentito il bisogno di inventare un nuovo nome per il festival: non più Cinema gay, anche se molti resteranno affezionati a questa vecchia denominazione, ma “Lovers”, in inglese, che sta per Amanti: parola bellissima, quella italiana, ricca di fascino, di storia cinematografica e letteraria, più armoniosa, più poetica. Ma la Dionisio non si è limitata a questo: nel programma, infatti, a distinguere la varie sezioni forse per irrobustirle di significati allusivi, ha disseminato titoli e titoletti, tutti rigorosamente in inglese: per internazionalizzare il festival, ha giustificato. Qualche dubbio resta, perché queste “novità” sembrano soltanto orpelli per inseguire mode molto provinciali e per ammantare di nuovo quel che in realtà è, meritoriamente, vecchio.
La qualità dei film in cartellone, come accade peraltro in tutti i festival, è comunque tutta da scoprire. Qualche indizio tuttavia promette bene, come i sette film in concorso che danno respiro internazionale, con opere da Filippine, Brasile, Regno Unito, Stati Uniti, Argentina, Sud Africa con una spruzzata d’Europa. Manca un film italiano, ma non sempre la qualità del cinema tricolore su tema gay è all’altezza di un festival, e accade anche che la nostra industria cinematografica non sempre è disposta ad etichettare un film col marchio gay presentandolo a Torino.
Cinema gay, ovvero Lovers, ha bisogno di aprirsi ancora di più a un pubblico “eterogeneo”, per evitare il rischio sempre incombente di essere un festival, non solo dedicato, ma anche “riservato” al mondo omosessuale. Un paziente lavoro fatto anche sulla qualità e una certa popolarità degli ospiti negli ultimi anni era riuscito ad aprire il festival ad altre fette di pubblico.
Ma su questo fronte la manifestazione quest’anno sembra rinchiudersi in se stessa. Negli anni passati numerosi nuovi spettatori si erano avvicinati a cinema gay, lontano anni luce dalle loro “sensibilità”, perché c’erano Claudia Cardinale, Franco Nero, Lino Banfi, Lucia Bosé, Paola Cortellesi, Patty Pravo, oppure fior di registi come James Ivory, Liliana Cavani, Gianni Amelio, John Waters, Gus Van Sant, Eytan Fox… per non dire di altri.
E negli anni seguenti quei nuovi, insospettabili spettatori di un festival dedicato al cinema omosessuale, erano tornati.
Quest’anno il nuovo direttore sembra puntare invece soltanto sul “suo” pubblico e sugli addetti ai lavori. Ed ecco, allora, l’atttrice Jasmine Trinca, che per quanto ancora fresca di un premio al recente festival di Cannes per l’interpretazione del film di Sergio Castellitto “Fortunata”, non ha tuttavia quella capacità di richiamare folle di appassionati e ammiratori; quindi la cantante-attrice, Violante Placido, “Viola” il nome d’arte in versione cantante; con lei il venerato maestro francese, nel passato già ospite di cinema gay, Paul Vecchiali, nome prestigioso tra gli addetti ai lavori e i cinefili puri, che porta il suo film “C’est l’amour”, del 2015, e altre due opere tra le quali “Le cancre” interpretato da Catherine Deneuve; e ancora, la poetessa Patrizia Cavalli; l’attrice-artista Eva Robin’s; l’attivista dei diritti umani Stuart Milk, a sua volta vecchia conoscenza del festival, nipote di Harvey Milk, il primo politico americano dichiaratamente omosessuale, ucciso nel ’78 ( su questo personaggio qualche anno fa era stato realizzato da Gus Van Sant il bel film “Milk”, interpretato da Sean Penn).
Tutti personaggi della massima considerazione, ciascuno nella sua parte. Eppure, resta la sensazione, con l’augurio che venga smentita, di un festival chiuso nel suo recinto, che non ha l’ambizione di allargare il suo campo d’azione.
L’appuntamento al cinema Massimo dal 15 al 20 giugno.
(Nino Battaglia)
Per saperne di più: www.loversff.com