Il Festival del Cinema di Venezia 2022 è triste

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In genere ai festival di cinema, e in particolare a quelli ritenuti tra i più grandi, viene attribuito il compito di fotografare la situazione che vive il mondo nella fase in cui le medesime manifestazioni cinematografiche si svolgono. E Venezia ovviamente non fa eccezione. Un dato comune dei film in programma al Festival del cinema di Venezia 2022 (31 agosto-10 settembre), che compie novant’anni dalla sua prima edizione, è il tono drammatico delle opere, a detta del direttore Alberto Barbera, una sorta di incupimento tematico che rispecchia il tempo incerto che viviamo; non si trovano in giro commedie di valore festivaliero, non c’è tanta voglia di sorridere, e tantomeno di ridere, non c’è spazio per i toni leggeri, neanche per quelli intinti nell’amarezza, così, per esempio, come seppe fare un certo cinema italiano negli anni ’60.

Certo, è l’aria che tira. C’è stata l’epidemia e c’è ancora, seppure secondo gli esperti ora in forme più attenuate e meno aggressive, tanti film in ogni angolo del mondo sono stati rinviati, altri interrotti o annullati. E ora c’è la guerra in Ucraina che preoccupa anche quelle porzioni di mondo che ne sembrano lontane. E dunque, ecco Venezia dai toni cupi. L’istantanea del mondo così come si ritrova oggi.

Il programma comprende 73 film, 23 sono in concorso. Ed è l’Italia, anche quest’anno, a fare la parte del leone, magari con l’aspettativa di un leone che sia d’oro. E accanto alla penisola c’è anche la Francia, quasi come ospite d’onore, anche forse in virtù della rinnovata amicizia tra i due Paesi, che a sua volta schiera 5 opere in competizione. E con altri paesi europei, c’è anche un bel po’ di America che garantisce la presenza dei divi e del clamore che si portano dietro.

Venezia così dunque cerca un rilancio dopo i due anni di epidemia che l’hanno costretta a mille rinunce, di spettatori nelle sale e del pubblico dei curiosi e dei fan, senza il quale un festival come la Mostra del cinema non è la stessa cosa. Ora le sale sono state riportate alla piena capienza, le precauzioni per gli spettatori non sono più prescritte ma appena raccomandate, e di fronte al palazzo del cinema il muro che era stato eretto due anni fa per impedire al pubblico di assieparsi per la sfilata dei divi è stato abbattuto.

L’Italia dunque festeggia al Lido con 5 film in competizione. Il signore delle formiche, di Gianni Amelio, con Luigi Lo Cascio, che rievoca la vicenda del drammaturgo, scrittore, poeta Aldo Braibanti, che a fine anni ’60, in pieno ’68, venne condannato per plagio fisico e morale – in realtà per omosessualità – ma per evitare lo scandalo di un siffatto processo e dell’assurda pena (9 anni di carcere, poi ridotti a 7, e infine 2 scontati) allora il perbenismo con la coda di paglia si rifugiò nel meno impegnativo “plagio”.
L’immensità, di Emanuele Crialese, con Penelope Cruz: a Roma negli anni ’70, una coppia che non ha più alcuna ragione per stare insieme, se non per i propri figli, una crisi di identità di genere, la città che cambia e che tutti cambia.
Chiara, di Susanna Nicchiarelli, la storia di santa Chiara di Assisi, con Margherita Mazzucco: una ragazza che vive un sogno di libertà, dalla regista che un paio di anni fa firmò un bel film sulla cantante tedesca genio e sregolatezza Nico, un altro ritratto di donna, e in questo caso molto più impegnativo data la portata del soggetto in questione.
Bones and all, di Luca guadagnino, storia di un primo amore in un viaggio nella profonda provincia americana, con Taylor Russell e Timothée Chalamet.
Monica, di Andrea Pallaoro, con Trace Lysette e Emily Browning, storia interiore sulla natura precaria dell’identità di ciascuno di noi con una ragazza che torna in famiglia dopo una lunga assenza e qui fa i conti con un passato di dolore e di paure. Gli ultimi due film portano bandiera italiana ma in realtà sono stati girati in America.
Il tricolore si avvale anche di Paolo Virzì con Siccità, fuori concorso, ambientato a Roma, in una città in cui non piove da tre anni, con tutte le conseguenze del caso su rapporti umani e modi di vivere, con Monica Bellucci, Valerio Mastandrea e Max Tortora.
C’è ancora In viaggio di Gianfranco Rosi, sui viaggi del Papa nel mondo.
E tra le altre attese curiosità, Gli ultimi giorni dell’umanità, di Enrico Ghezzi e Alessandro Gagliardo, titolo preso a prestito da Karl Kraus, che il direttore Barbera definisce una summa del pensiero di Ghezzi.

Tra i titoli che mancano da questa Venezia 79, c’è Killers of the flower moon, di Scorsese, e The Fabelmans, di Spielberg, che va al festival di Toronto, in programma subito dopo la chiusura di Venezia.

Tra i 5 film francesi da segnalare Athena, di Romain Gavras, figlio d’arte, ambientato nelle banlieu di Parigi. Nella sezione Orizzonti, dove abbondano anche altri film italiani, ancora dalla Francia c’è La syndacaliste, di Jean-Paul Salomè, con Isabelle Huppert.

Dall’America c’è il ritorno di Walter Hill, con il western Dead for a dollar, che mette insieme due divi come Christophe Waltz e Willem Dafoe.
Blonde, ritratto ritenuto provocatorio di Marilyn Monroe, con Ana De Armas.
The Whale, del visionario Darren Aronofsky, tutto girato in una stanza.
Tár, di Todd Field, con Kate Blanchett.
The Banshees of Inisherin, con Colin Farrell e Brendan Gleeson.
White Noise, di Noah Baumbach, con Adam Driver.

C’è anche il messicano, premiato con diversi Oscar, Alejandro Iñárritu, che presenta Bardo, o falsa crónica de unas cuantas verdades, commedia drammatica targata Netflix, un uomo, un giornalista in crisi di identità ed esistenziale, che mette in dubbio ogni cosa, compresi i legami familiari. E ancora Netflix con i due film danesi The Kingdom: Exodus, di Lars von Trier, e Copenhagen Cowboy, di Nicolas Winding Refn.

Tra i grandi ospiti, due Leoni alla carriera: Paul Schrader, con il film Master Gardener, che non andrà nelle sale, e altro Leone alla carriera per Catherine Deneuve. Presidente della giuria, Julianne Moore.

Non manca l’impegno politico e sul fronte sociale: Oliver Stone presenta il documentario Nuclear, mentre il festival, che, dice il direttore Barbera, non vive in una bolla, lancia la solidarietà del mondo del cinema per i cineasti iraniani vittime di censure e di persecuzioni con due film in concorso di Vahid Jalilvand e del più noto Jafar Panahi, che è in carcere. E certo non poteva mancare la guerra in Ucraina, con il film in presa diretta, un instant movie, Winter on Fire: Ukraine’s Fight for Freedom, di Evgheny Afineevsky. E tra gli esclusi, proprio a causa della guerra, un film russo che era piaciuto ai vertici del festival ma che non è stato possibile invitare per le sanzioni, anche perché l’opera è finanziata dallo Stato di Putin.

Dunque al Festival del cinema di Venezia 2022 tanto occidente, poca Asia, tanti italiani, in sovrabbondanza; c’è una grande quantità di produzione tricolore, avverte Barbera, a cui non sempre corrisponde la qualità, con il rischio che tutti questi film realizzati, grazie a un’abbondanza mai vista di finanziamenti, non abbiano pubblico e prima o poi esploda la bolla.

Già, il pubblico: le sale languono da tempo, gli spettatori esitano a tornare al cinema, e il grande schermo ormai è diventato il piccolo schermo di casa. Venezia, forse, ha anche questo compito: riportare lo spettatore in sala. Si vedrà.

Nino Battaglia

Per saperne di più: Festival del cinema di Venezia 2022

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