Google a rischio in Australia

Google ha minacciato di lasciare l’Australia e rimuovere la Ricerca Google per gli utenti australiani se il governo australiano costringerà l’azienda a pagare per collegarsi ai siti web che elenca nei suoi risultati di ricerca. La notizia ha suscitato rapidamente l’attenzione dei media, dato che questo costituisce un precedente che può cambiare il Web così come lo conosciamo.

L’ultima versione del Codice Civile in vigore in Australia richiede che qualsiasi motore di ricerca paghi per collegarsi a siti di notizie, infrangendo un principio fondamentale del funzionamento generale del Web e creando un precedente insostenibile per l’attività di Google, Internet e l’economia digitale. Ma non si tratta solo del punto di vista di Google. Molte altre aziende del settore hanno significato la loro preoccupazione con comunicazioni ufficiali al pubblico e la richiesta di chiarimenti urgenti al Senato australiano.

Lasciare l’Australia. Nelle sue comunicazioni ufficiali, la minaccia da parte di Google è reale. Il principio del collegamento libero e illimitato tra i siti web è fondamentale per la ricerca e, oltre al rischio di conseguenze finanziarie e operative ingestibili, se questa versione del Codice Civile diventasse legge, non darebbe altra scelta al colosso del Web se non quella di smettere di rendere disponibile la Ricerca Google in Australia.

Diamo uno sguardo al possibile impatto conseguente. L’Australia, nonostante sia un continente ed allo stesso tempo il sesto Paese al mondo per estensione, ha una popolazione di soli 25 milioni di abitanti, quasi tutti residenti sulle coste. Questo è quindi un mercato relativamente piccolo per Google rispetto a tutta l’Europa (741 milioni di abitanti) ed agli Stati Uniti (328 milioni di abitanti). Contemporaneamente, sono oltre 19 milioni gli australiani che utilizzano Google per effettuare ricerche ogni giorno, e che potrebbero non avere più il loro motore di ricerca preferito per andare avanti.

Il problema generato dalla sempre maggiore tendenza dei governi a cercare di incassare dalle grandi aziende tecnologiche che storicamente vivono in una sorta di “area esentasse” online, sta aggravandosi, a volte a svantaggio degli stessi governi. La minaccia di Google di disattivare la ricerca in Australia è quindi una sorta di avvertimento per gli altri Paesi in tutto il mondo. La strategia ha ovviamente i suoi limiti: l’Australia è un piccolo mercato per Google, che può permettersi di fare la voce grossa sapendo bene che il danno per il Paese causato dal ritiro dell’azienda dal suo mercato è di gran lunga superiore alla perdita economica da parte di Google. Altro discorso sarebbero l’Europa e altri Paesi.

In Francia, ad esempio, Google ha recentemente raggiunto un accordo con editori con sede in Francia per pagarli per elencare e citare parti dei loro contenuti nei risultati di ricerca. Questo accordo stabilisce un quadro all’interno del quale Google negozierà accordi di licenza individuali con editori certificati come membri dell’Alliance de la Presse d’Information Générale (APIG). Questo avviene due anni dopo che Google aveva dichiarato che non avrebbe pagato gli editori francesi, ma avrebbe invece limitato il modo in cui le parti di contenuto informativo venivano visualizzate nei risultati di ricerca. Sembra oggi quindi che le iniziative e pressioni antitrust della Francia alla fine abbiano funzionato a un certo livello a loro favore. Allo stesso modo, le norme restrittive sul copyright ed iniziative antitrust in Germania e Spagna diversi anni fa hanno spinto Google a ritirare gli snippet informativi dai risultati di ricerca, il che ha causato un calo significativo del traffico generato verso i siti di notizie in quei Paesi, mettendo in crisi molte aziende locali nel settore informativo.

Tornando all’Australia, se la nuova legge fosse approvata ed avesse effetto, Google ha affermato che non avrebbe altra scelta che interrompere la fornitura di servizi di ricerca in Australia. Questo è lo scenario peggiore e, come Google ha affermato, “l’ultima cosa che vogliamo che accada, specialmente quando c’è una via da seguire per un codice funzionante che ci consenta di supportare il giornalismo australiano senza interrompere la ricerca.” La soluzione proposta da Google vedrebbe quindi il colosso del Web pagare gli editori tramite News Showcase, un programma di licenze con quasi 450 partner di notizie in tutto il mondo. Google pagherebbe gli editori per il valore effettivo dei contenuti mostrati e raggiungerebbe accordi commerciali con gli editori, con arbitrato vincolante su Showcase.

Alla fine, di cosa stiamo parlando? Ovviamente, se Google lasciasse l’Australia, sarebbe un grande problema per chi effettua ricerche in quel Paese. Ma è d’altra parte evidente che se Google dovesse pagare per elencare i collegamenti nei suoi risultati di ricerca, questo significherebbe cambiare la ricerca e il Web come lo conosciamo. Potrebbe anche avere un drastico effetto a catena per le aziende e gli operatori di marketing in Australia (e nel mondo) che si affidano alla Ricerca Google per indirizzare traffico e affari ai propri siti web.

È difficile prevedere cosa accadrà. Appare probabile che Google elaborerà un accordo con l’Australia per sostenere gli editori di notizie con ulteriori sforzi tesi alla possibile monetizzazione per la citazione di contenuti specifici (snippet informativi) e forse arriverà a donazioni in denaro.

E.P.

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