Donne e Madonne attraverso le epoche, attraverso i generi

Donne e Madonne

Un percorso artistico al femminile. Un lungo percorso che, sul binario doppio della sacralità e del quotidiano, del religioso e del mitologico, dell’espressione della allegoria retorica delle arti come quella semplicissima e immediata delle piccole e in diverso modo importanti attività della vita familiare, consideri la centralità della figura della donna.

Un omaggio, in qualche modo. Ovvero, guardando alle opere reperite – un’allegria di pareti ricoperte di nomi e di colori, di spazi a terra dove trovano posto sculture di oggi e più o meno antiche, italiane e provenienti dal continente subsahariano, il tutto dovuto alla generosità di amici e galleristi e collezionisti che hanno messo a disposizione le loro opere, una lunga sequenza ripensata qui a isole temporali ma anche un invito a confrontare, all’interno di epoche diverse, temi e particolari pronti ad accomunarle -, ne voglia offrire un differente sguardo, molteplici angolazioni, svariati sentimenti. Donne e Madonne suona il titolo della mostra allestita nelle sale di palazzo Lomellini a Carmagnola  – a cura dell’Assessorato alla Cultura del Comune con la collaborazione dell’Associazione “Amici di Palazzo Lomellini” – e quell’incipit vuole assumere, sotto la molteplicità delle forme artistiche catturate lungo le epoche, nel gran teatro del Mondo costruito decade dopo decade, il significato e la testimonianza della lode, la sottomissione dell’”ancella” e la glorificazione della bellezza, la gioia e il sorriso di una madre, l’eccellenza delle forme opulente e lo sguardo doloroso della Vergine dinanzi al sacrificio, la personalizzazione del ritratto, la festosità e i ricordi, la maternità e la sfrontatezza. “La figura femminile nell’arte dal XV secolo a oggi” è l’estensione del titolo, a porre un inizio e una fine d’attenzione, ad analizzare l’”eterno femminino” caro a Goethe, effettivo completamento dei fattori maschili.

Una “Madonna con il Bambino” ad iniziare, un gotico fondo dorato e un bimbo protetto, con le labbra che lasciano intravedere un sorriso dolce, un gesto benedicente; poi l’atmosfera tra Seicento e Settecento che abbraccia con vari esempi la figura della Maddalena, diversamente intesa, e prosegue con ritratti regali, con abiti di velluto e onorificenze, con vicende legate alla Bibbia o al mondo vasto della Mitologia, con la devozione alla Vergine. L’Ottocento si addentra con maggior attenzione nel mondo e nella società che lo vive, con descrizioni che, precise, fanno propri segnali e particolari pronti a descrivere un secolo fatto di lotte e di classi, osservando il mondo contadino con “lo sguardo sperduto e malinconico” (scrive Gianni Milani) di povere ragazze e delle loro fatiche, di chi bada alla casa e a chi la abita, della borghesia e della aristocrazia allo stesso modo piene di fascino e di inquietudini. Alle precedenti s’aggiungono la governante in cerca di riposo per la stanchezza che segue al lavoro di ogni giorno, l’affetto che unisce una figlia e la madre, riccamente vestite, rappresentato anche soltanto dai colori di un vaso di fiori, il sorriso complice con cui il bimbetto si rispecchia non appena terminato il bagnetto reclamato già da qualche giorno, le malinconie e i sogni ad occhi aperti, gli abiti e gli ampi cappelli che ornano non solo le dame (o le madamin) di casa nostra, quegli abiti che invitano a essere guardate, la capacità di giudizio di chi si può permettere un pomeriggio a osservare il quadro terminato dall’amica pittrice.

“Freud aveva scavato nel profondo scoprendo coscienze inquiete ed inconsci celati nella traballante società di fin de siècle”, scrive Massimo Olivetti: e in questo profumo di psicanalisi, di solitudini e disperazioni, di avanguardie che cancellano schemi fissati nel passato, le donne e le eroine, le Sante e le Madonne che “erano fatte per essere guardate, ora invece sono loro che dalle tele e dai muri ci scrutano e ci interrogano”. Prorompono i nudi di Levi e di Chessa e di Casorati, Tabusso regala nudi agli amici e pone la sua cuoca imperiosamente a orchestrare tutto quel ben di Dio che sta su quel tavolo davanti a lei, il corpo di donna di Carena si ricorda dei maestri che lo hanno preceduto, sull’altra sponda sembrano vegliare le graziose testine e gli adolescenti di Nenci e le madonnine di Knap, umanizzate, quotidiane, dove tutto sembra essere un gioco domestico, un piccolo libro messo in mano ai bambini.

I contemporanei, in ultimo, gli artisti dei nostri giorni. Tutto sembra assumere un aspetto più immediato, gli esseri femminili “magnificamente” cantati un tempo (non è ancora in quel tempo la donna di Brusaglino?) potrebbero oggi essere definiti “della porta accanto” (sottolinea Marilina Di Cataldo), tra loro Donne e Madonne (come quelle di Gasparin, seppur percorrano appieno i sentieri della classicità) assumono sembianze più “domestiche”, immediate, semplici, sulla tela o nell’uso del legno (c’è una nuova Annunciazione con Simonetta), le maternità possono guardare al mondo pittorico di ieri come a quello realissimo di oggi, come in Saccomandi, o esprimere allo stesso tempo estrema dolcezza e inaspettata unicità, come nell’opera, bellissima, di Luciano Spessot, o immortalare ancora una volta l’immagine che da sempre ricordiamo (Molinaro, Sesia, Mapelli), si slanciano nelle danzatrici di Unia o quasi si nascondono dietro la porta di Cordero, “si santificano” nelle antiche divinità di Alemanno. Con Preverino, in un mai troppo condannato cono d’ombra, possono rappresentare quello squarcio umano che è la violenza sulle donne.

In ultimo, la donna dell’Africa – nell’ampio panorama di sculture (tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento) messo a disposizione da Bruno Albertino e Anna Alberghina, instancabili viaggiatori, collezionisti e studiosi – donna che assume un preciso valore rituale al di là della bellezza delle forme, “oggetti di culto, creati per favorire il rapporto con il sovrannaturale”, come sostengono le parole della coppia. Ne deriva la sacralizzazione della maternità e il giovane corpo femminile è guardato e inteso “come ricettacolo di fecondità”. Un messaggio che arriva da lontano, cui la mostra di palazzo Lomellini può offrire la possibilità di essere messo a confronto con le altre opere esposte. Questo era e rimane il nostro intento, i rimandi, le suggestioni, i confronti: nella speranza che l’invito sia colto dal grande pubblico che vorrà affollare la mostra.

Elio Rabbione

Orario di apertura: giovedì, venerdì, sabato 15,30 – 18,30; domenica 10,30 – 12,30 / 15,30 – 18,30. Per gruppi anche in altri orari su prenotazione. Ingresso libero.
Info e prenotazioni: Comune di Carmagnola Ufficio Cultura, tel. n. 0119724238 – emauli: musei@comune.carmagnola.to.it

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