La situazione delle scuole italiane è disomogenea: ci sono istituti ad un livello molto avanzato, punte di eccellenza che hanno aumentato la dotazione tecnologica anche grazie a progetti finanziati dal MIUR o da aziende. Molte altre che sono invece ancora indietro nell’acquisizione degli strumenti, spesso a causa di mancanza di risorse economiche. Sempre più insegnanti usano il personal computer per le attività connesse all’organizzazione del lavoro e alla progettazione della didattica, ma ancora pochi usano adeguatamente le nuove tecnologie in classe. Il metodo didattico più diffuso è quello tradizionale, spesso ritenuto poco coinvolgente dagli studenti. E’ quindi necessario un forte investimento, soprattutto sulla formazione degli insegnanti.
Un problema a parte è inoltre rappresentato dai genitori. Molto dipende dalla classe sociale di appartenenza: livello sociale più basso nella maggior parte dei casi corrisponde a livello di informatizzazione più basso. In particolare nelle aree rurali il livello di tecnologizzazione delle famiglie è relativamente basso. Non tutti i genitori usano quotidianamente il PC o lo smartphone, mentre il tablet è appannaggio solo di coloro che lo usano nell’ambito della propria professione.
Diventa quindi indispensabile che il registro elettronico non diventi l’unico strumento di comunicazione, affinché non si trasformi in strumento di discriminazione che “taglia fuori” centinaia di famiglie tecnologicamente impreparate. Ecco dunque che la comunicazione cartacea parallela (quindi non eliminata, ma non unica) resta uno strumento importante per una fase di transizione tecnologica che sarebbe assurdo ipotizzare possa concludersi in pochi anni soltanto.
Le TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione, traduzione italiana dell’acronimo ICT Information and Communication Technologies) possono certamente esercitare un ruolo fondamentale nella formazione delle nuove generazioni in quanto la loro diffusione sta determinando una serie di cambiamenti ed innovazioni significative nei diversi “luoghi” e “momenti” dell’apprendimento. E non stiamo parlando tanto della tecnologia, ma delle implicazioni metodologiche indotte a cui possono essere ricondotte due polarità: da un lato la disponibilità di materiali e di risorse più o meno interattive pensate per l’apprendimento individuale totalmente libero da vincoli spazio-temporali (accessibilità); dall’altro la peculiarità di un modello fondato sui processi di apprendimento collaborativo e sul concetto di comunità di apprendimento (co-costruzione di significati).
Queste caratteristiche corrispondono pienamente al dinamismo del processo di apprendimento, che implica interazioni e transazioni: individuo ed ambiente interagiscono in una dinamica adattiva, che presuppone una relazione di costante co-determinazione, scambio e negoziazione. Ancora una volta, strumenti multimediali e materiali sempre più a misura di studenti “nativi digitali” non devono rischiare di escludere e tagliare fuori altri partecipanti (genitori, ma anche personale scolastico e molti insegnanti e studenti) che non sono “nativi digitali” ed hanno ancora difficoltà ad adeguarsi a tali cambiamenti od a sfruttare correttamente ed appieno le possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Non siamo infatti di fronte ad una realtà dicotomica che vede da una parte i giovani “nativi digitali” e dall’altra gli anziani “ignoranti digitali”, ma ad una situazione ben più complessa e aticolata. Lo conferma anche il rapporto sul digital reading pubblicato recentemente dal Ministero per l’Istruzione: gli studenti italiani hanno buone capacità di navigazione generica sul web, ma si smarriscono facilmente quando si tratta di fare ricerche più raffinate e approfondite.
(ep)
Per saperne di più: Rapporto sul digital reading