I 12 articoli della Riforma da una parte compiono l’apprezzabile sforzo di cercare una semplificazione del Terzo settore. Definendolo, riordinando la normativa, e prevedendo vantaggi fiscali solamente per alcune realtà. Individuando strumenti per rendere trasparenti le attività di tutti i soggetti del Terzo settore e puntando sul principio di relazionalità, separando imprese sociali da volontariato, associazionismo e mutuo soccorso. Dall’altro non fugano le incertezze rispetto al sistema di governance ipotizzato.
L’articolo 1 e 2 definiscono il Terzo settore come: “il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi.”
Il riordino normativo è compreso negli articoli 3 e 4. Dove alla revisione dello statuto civile delle persone giuridiche (Titolo II del Codice Civile) si affianca la stesura di un Codice del Terzo settore. Attività a cui viene dato mandato al Governo di provvedere, tenendo conto della differenziazione tra i diversi tipi di ente. Compiti che dovranno prevedere tra gli altri, la definizione di forme e modalità di organizzazione, amministrazione e controllo, il divieto di redistribuzione degli utili e istituire il Registro Nazionale del Terzo settore, suddiviso in specifiche sezioni, nonché le modalità di iscrizione.
I due successivi articoli il 5 ed il 6 riguardano gli attori del Terzo settore: volontariato, promozione sociale, mutuo soccorso e imprese sociali (regolamentate dalla L. 155 del 2006) con l’acquisizione di diritto della qualifica di impresa sociale da parte delle cooperative sociali e dei loro consorzi. Nell’ottica della Legge la revisione della disciplina normativa delle attività di questi soggetti giuridici comporta l’armonizzazione della normativa su volontariato e promozione sociale, promuovendo il volontariato anche in collaborazione con il sistema scolastico e una revisione del sistema dei Centri Servizi Volontariato (Csv), ridefinendone compiti e governance. Prevedendo per questi ultimi la possibilità di gestione non solo da parte del Volontariato (che deve però avere la maggioranza negli organi di governo), ma da parte di tutti gli enti del Terzo settore. L’articolo 5 immagina l’accreditamento e il finanziamento stabile dei Csv, attraverso un programma triennale, mentre la revisione delle attività di programmazione, controllo e gestione sono demandate ad organismi regionali o sovraregionali, tra loro coordinati sul piano nazionale.
La novità rilevante dell’articolo 6, che prefigura una nuova impresa sociale è la possibilità di co-produrre beni e servizi tra non profit, Pubblica amministrazione e investitori privati. Qui la volontà pare essere l’idea di un’imprenditoria sociale capace di rispondere ai tanti bisogni che oggi rimangono irrisolti, ad esempio attraverso l’allargamento della definizione di lavoratori svantaggiati comprensiva delle nuove forme di esclusione. Quali siano i settori di attività verrà stabilito attraverso un decreto del Presidente del Consiglio.
Ad occuparsi di vigilanza e monitoraggio degli Enti è l’articolo 7, non immaginando nessuna Authority, ma affidando i compiti più importanti direttamente al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, in collaborazione con altri Ministeri e con l’Agenzia delle Entrate.
I successivi articoli riguardano l’istituzione del servizio civile universale, destinato a giovani dai 18 ai 28 anni, anche stranieri con regolare permesso di soggiorno; del Consiglio nazionale del Terzo settore “organismo unitario di consultazione degli enti del Terzo settore a livello nazionale” e della Fondazione Italia Sociale. Quest’ultimo soggetto un ente di diritto privato con finalità pubbliche con l’obiettivo “mediante l’apporto di risorse finanziarie e competenze gestionali” di raccogliere e organizzare finanziamenti privati.
Infine sono previste risorse economiche destinate a volontariato e associazioni di promozione sociale, un Fondo rotativo di 17 milioni di euro per il biennio 2016 – 2017, mentre è già attivo il Fondo per finanziamenti agevolati ad imprese e cooperative sociali con delibera CIPE. Le Misure fiscali e di sostegno economico propongono una revisione della disciplina del cinque per mille e l’assegnazione a Enti del Terzo settore di immobili pubblici inutilizzati, oltreché l’istituzione di misure di supporto come alcuni strumenti di finanza sociale e la costituzione di un fondo presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Questa in sintesi la legge. Molto differente rispetto alla prima proposta di aprile, più sbilanciata “sugli aspetti economici, a svantaggio della vera essenza del Terzo settore: luogo e spazio di aggregazione e partecipazione per milioni di cittadini attivi e bacino di solidarietà, civismo e coesione” [Pietro Barbieri, portavoce del Forum Nazionale del Terzo settore 25/05/2016].
Un corpus normativo, ancora in divenire, che soprattutto mancava delle voci dei protagonisti, il Terzo settore, o quanto meno non recepiva le numerose modifiche suggerite dai propri organi di rappresentanza. Rischio limato con il provvedimento del 6 giugno 2016. Seppure incertezze rispetto al sistema di governance introdotto permangano.
Proprio il ruolo della politica e della rappresentanza sono gli aspetti, che i decreti attuativi della Legge delega, che dovranno essere approvati entro giugno 2017, sono chiamati a dirimere, oltre a regolamentare nel dettaglio il contenuto specifico della riforma.
Monitoraggio, vigilanza e controllo affidate interamente al/ai Ministero/Ministeri e Agenzia delle Entrate, sembrano contraddire e indebolire ulteriormente il ruolo della rappresentanza del Terzo settore a livello decisionale e propositivo. In un simile quadro normativo risulta difficile cogliere le possibili connessioni tra “controllori” e “rappresentanza”, con il rischio per quest’ultima se “distante dalla base” possa esercitare solo deboli forme di autocontrollo rispetto ai ruoli attribuiti alle istituzioni. Quindi la rappresentanza andrà ripensata, si modificherà anch’essa in divenire?
Inoltre la “superfondazione” Fondazione Italia Sociale, il cui funzionamento e la dotazione economica dipenderanno dall’autorità politica in primis, si aggiunge ad un accorpamento massiccio (attraverso un unico registro nazionale) di realtà che portano con sé specificità ben distinte. Verranno dotati di strumenti economici unici e non più distinti?
Come sottolineano all’indomani dell’approvazione le parole della Conferenza Permanente delle Associazioni, Federazioni e Reti di Volontariato – Convol , esplicitando due perplessità: “La prima sulla revisione dei Centri di Servizio per il Volontariato di cui la legge estende la platea dei beneficiari ben oltre le Organizzazioni di Volontariato: si teme che vengano diminuite al Volontariato le già scarse risorse che oggi ricevono. La seconda sulla Fondazione Italia Sociale, un Ente di cui non si sentiva alcuna necessità e di cui la legge approvata non chiarisce compiti e finanziamenti”.
Così nei prossimi mesi diventerà ancora più urgente e fondamentale per le realtà del Terzo settore, relazionarsi con istituzioni per non delegare all’autonomia che da sempre le caratterizza. Augurandosi che la Riforma del Terzo Settore “sia il preludio a una stagione d’innovazione sociale e istituzionale, rimanendo in attesa dei decreti legislativi sperando che non deludano le aspettative” [Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà – Confcooperative].
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Per saperne di più: Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana
Fonte: gazzettaufficiale.it; (26/09/2016), sixmemos.org (19/09/2016); quinonprofit.it (articolo di Carlo Mazzini 29/08/2016); ilpost.it (22/06/2016); forumterzosettore.it (25/05/2016); vita.it (26 e 25/05/2016); redattoresociale.it (25/05/2016)