Tff, il ritorno di Stefano Della Casa

Tff, il ritorno di Stefano Della Casa

E’ facile aggrapparsi al titolo di qualche film, da tempo luoghi comuni e perfino un po’ frusti per la nomina del nuovo direttore del Torino film festival, ma in questo caso trattandosi di cinema le frasi fatte arrivate dal grande schermo rischiano di diventare appropriate: a volte ritornano, e Stefano Della Casa, per tutti Steve, è tornato.

Aveva guidato brillantemente il Tff dal ’99 al 2002, e ora i vertici del Museo del cinema lo hanno nuovamente chiamato, un po’ a sorpresa per la verità, anche se da qualche giorno se ne parlava, tanto più che un mese fa a Francia avevano offerto di dirigere un’altra edizione, la quarantesima, e poi si vedrà. Ma il direttore che se ne va ha preferito tornare al suo lavoro in Rai, al settore cinema di RaiTre, Fuori orario e dintorni. Senza nulla togliere, ma davvero, alla invidiabile cultura di Francia in fatto di cinema e alla sua capacità di guidare un festival come quello torinese, il Tff perde un ottimo direttore e ne acquista uno eccellente, e di prestigio. Certo, la nomina per il nuovo direttore non è, diciamo, a lungo termine, ma a brevissimo: intanto un anno, poi vedremo. Un po’ poco per un possibile rilancio e magari per dare una nuova necessaria impronta al festival. Ma ai vertici del Museo per ora quello che conta è la prossima edizione, quella dei quarant’anni, per la quale già evocano effetti speciali: sarà un momento di passaggio, dicono. E dunque per ora basta un direttore in transito, ancorché di chiara fama.

Una scelta felice, comunque. Pochi conoscono questa manifestazione e il suo pubblico, la passione per il cinema della città che la ospita come Della Casa, e non solo perché è stato tra i fondatori del festival, con il professore Gianni Rondolino, col quale ha studiato cinema all’università, con Alberto Barbera, con l’esercente cinefilo di sale Lorenzo Ventavoli – uno dei pochi allora che staccava i biglietti e conosceva la storia passata e presente del cinema – per dire soltanto di alcuni tra i più noti. Di qualunque edizione si voglia parlare, Steve c’era, “c’era già”, come l’uomo di Neanderthal intervistato da Italo Calvino. E allora, forse basterebbe ricordare che alla prima edizione, 1982, trentenne, lui era responsabile delle proiezioni in sala. Niente di che, si dirà. E invece no, perché la conoscenza e l’attenzione ai “formati” delle pellicole, dello stato della celluloide, dello scorrimento senza sbavature, dell’efficienza del proiettore, erano, nel cinema di una volta, essenziali quanto il film stesso. Tra parentesi, Barbera era all’ufficio stampa, e a quell’epoca un ufficio stampa si poteva anche improvvisare, ma talvolta accade anche oggi…

Diversi anni prima, nel ’74, Steve era stato tra i fondatori, e c’era anche Barbera, del mitico, è proprio il caso di dirlo, Movie club, che aveva sede in una sala parrocchiale un po’ malconcia di Via Giusti. Proprio allora, con quella iniziativa si cementava il senso di Torino per il cinema, e da lì nascerà il Festival internazionale Cinema giovani, come venne chiamato per poco meno di vent’anni. Piace ricordare questi trascorsi di Della Casa se vogliamo minori rispetto all’eccellenza del suo vasto curriculum, peraltro ben noto e non soltanto agli ambienti del cinema, anche perché la sua conoscenza della storia del grande schermo, dalle origini ai giorni nostri e in tutte le latitudini, tocca anche le “curiosità” che riguardano i film, in particolare di un certo cinema italiano degli anni d’oro per qualità e quantità, quasi sempre raccolte con autoironia dagli stessi divertiti protagonisti, gli aneddoti, le necessità che diventavano virtù, i piccoli fatti sui registi, gli attori, i personaggi minori e quelli minimi, perfino i luoghi, talvolta i più inverosimili, delle riprese: vere perle gustosissime, di puro divertimento, che ovviamente mai troveremo nelle enciclopedie e nei dizionari. Piccole cose che Steve ha dispensato, accanto al suo mestiere di critico e storico del cinema, nei suoi scritti sui giornali, le riviste, le conferenze, i saggi. Un profondo conoscitore del cinema specialista e insieme generalista e nazional-popolare, si potrebbe azzardare a dire. E c’è naturalmente la parte diciamo ufficiale del suo lungo itinerario professionale. Collaboratore di giornali, tra i quali La Stampa, docente di storia del cinema all’Accademica di arte drammatica, curatore di rassegne ed eventi al Moma di New York, al Centre Pompidou di Parigi, in diversi festival come il prestigioso san Sebastian in Spagna, presidente dal 2006 al 2013 della Film commission Torino-Piemonte, che con Della Casa è diventata tra le più attive in Italia e modello per tutte le altre, dal ’94 conduttore della trasmissione Hollywood party, in onda da lunedì a venerdì alle 19 su RadioTre. E potrebbe anche bastare, ma c’è da ricordare il secondo mestiere di Stefano Della Casa, che tutto sommato è un po’ uguale al primo: l’autore-regista di una dozzina di documentari, presentati in festival come Venezia, Roma, Locarno, su personaggi del grande schermo, della letteratura legata al cinema, sui generi cinematografici. Per ricordarne solo un paio: Flaiano, il meglio è passato, e Nessuno mi può giudicare, sui cosiddetti film “musicarelli” degli anni ’60, che prendevano spunto da una canzone con protagonista il cantante di turno, un vero e proprio genere cinematografico fiorito solo in Italia con qualche centinaio di film prodotti in una decina di anni.

Ecco dunque il nuovo direttore del Torino film festival. Della Casa raccoglie un’eredità ricca che arriva dal passato, e nello stesso difficile. Gli ultimi due anni del festival sono stati tormentati dall’epidemia: nel 2020 si è svolto soltanto in forma virtuale, al computer; l’ultima edizione ha visto il ritorno in sala, ma ha registrato pesanti perdite di pubblico, con gli spettatori scesi a 32 mila dai 61 mila del ’19, e così tutte le altre voci, biglietti, incassi, accrediti. Da una parte il timore del virus, che tuttavia nei giorni del festival, tra fine novembre e i primi di dicembre, lasciava spazio all’ottimismo, ma dall’altra una serie di scelte infelici che hanno scoraggiato il pubblico meno fedele, gli importanti spettatori occasionali: i biglietti da prenotare e acquistare solo on-line, peraltro con una scoraggiante procedura farraginosa, e dunque senza un minimo di biglietteria tradizionale, l’assenza di promozione e di qualunque forma di pubblicità – manifesti, locandine – la mancanza di un luogo di ritrovo del pubblico e dei festivalieri, negli anni elemento essenziale per un festival metropolitano e per molti versi singolare come quello di Torino. Tutto per risparmiare sulle risorse, per l’ultima edizione ridotte a un milione e 750 mila euro, con una lenta e costante erosione che parte dai 3 mila euro di una dozzina di anni fa.

A Della Casa con queste risorse spetta il compito di un miracolo: riportare il pubblico al festival con un bel programma, con qualche ospite di popolarità e di prestigio. Si vedrà se i vertici del Museo del cinema, gli Enti locali, e quelli pubblici e semipubblici che lo sostengono, allargheranno un poco i cordoni della borsa, la quale borsa può determinare il successo della manifestazione. Con l’edizione “di passaggio”, il presidente del Museo del cinema Enzo Ghigo, il direttore Domenico de Gaetano, al neodirettore chiedono di “ribadire l’identità del Festival ancora attuale a distanza di anni, nel solco della tradizione e dell’innovazione”. E qui siamo nel pieno degli ossimori della politica, come dire il rinnovamento nella continuità, ma il luogo comune cinematografico suggerisce anche un ritorno al futuro. Steve dice che vuol fare un festival divertente, di ricerca, magari anche cinefilo ma popolare; e non solo, con un programma più snello, riducendo la quantità di film. E intanto annuncia una retrospettiva sul western, che fu la sua tesi di laurea. Uomo di cinema dalle mille risorse, ce la può fare, a dispetto degli Enti.

Nino Battaglia

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