Quando si parla di microchip, si immaginano circuiti elettronici miniaturizzati, ma comunque visibili/maneggiabili, con cui si costruiscono apparati complessi come smartphone e computer. Sempre di più i microchip riducono però le proprie dimensioni, per poter costruire apparati sempre più piccoli ma sempre più potenti e veloci. Ecco quindi che, scendendo di molto sotto il millimetro, i materiali con cui sono costruiti i microchip sono oggi… nanomateriali.
I nanomateriali sono sostanze chimiche o materiali composti da particelle con almeno una delle dimensioni compresa tra 1 e 100 nanometri. Se consideriamo che il nanometro è un’unità di misura della lunghezza corrispondente a 10−9 metri (cioè un miliardesimo di metro, pari ad un milionesimo di millimetro) possiamo renderci conto del fatto che stiamo parlando di qualcosa di infinitamente piccolo! A causa di una maggiore superficie specifica per volume, i nanomateriali possono avere caratteristiche diverse rispetto allo stesso materiale privo delle caratteristiche di nanoscala. Di conseguenza, le proprietà fisico-chimiche dei nanomateriali possono differire da quelle di sostanze sfuse o particelle di dimensioni maggiori.
I più piccoli microchip possono essere oggi realizzati con grafene e altri materiali 2D come il bisolfuro di molibdeno, utilizzando una struttura a forma di “nano-origami“. I ricercatori della School of Mathematical and Physical Sciences dell’Università del Sussex hanno per primi realizzato questi nano-origami e ne hanno trattato le caratteristiche ed i processi di costruzione in un articolo pubblicato sulla rivista ACS Nano.
Creando meccanicamente dei nodi nella struttura del grafene, i ricercatori hanno fatto in modo che il nanomateriale si comportasse come un transistor, ed hanno quindi increspato con nodi-transistor strisce di grafene ottenendo dei veri e propri microchip, che risultano però circa 100 volte più piccoli dei microchip convenzionali. Invece di dover aggiungere materiali diversi (plastica, metallo, carbonio…) a un dispositivo, è stato quindi dimostrato che è possibile creare strutture complesse dal grafene e altri materiali 2D semplicemente aggiungendo pieghe e nodi nella struttura. Realizzando questo tipo di ondulazione è possibile creare un componente elettronico intelligente, come un transistor o una porta logica.
Questo tipo di tecnologia, per la quale è stato coniato il nome di straintronics, utilizza nanomateriali in contrapposizione all’elettronica, rendendo possibile l’utilizzo di un numero ancora maggiore di chip all’interno di qualsiasi dispositivo. Il grafene è già un materiale rinomato per la sua forza e flessibilità oltre che per la sua conducibilità termica ed elettromagnetica, ma aumentarne la rigidità piegandolo ed inserendo nodi secondo schemi definiti significa aprire un’area completamente nuova della fisica della materia condensata.
L’utilizzo di questi nanomateriali, rendendo i microchip più piccoli e più veloci, aumenterà quindi la potenza e le performance dei computer e degli smartphone migliaia di volte rispetto a quella odierna, basata sulla tecnologia tradizionale dei semiconduttori. In definitiva, questo renderà i nostri computer e telefoni migliaia di volte più veloci in futuro. Questo significa anche avere una tecnologia più verde e più sostenibile. Poiché non è necessario l’utilizzo di materiali aggiuntivi e poiché questo processo funziona a temperatura ambiente anziché ad alta temperatura, è necessaria meno energia per il funzionamento e soprattutto per la ventilazione/raffreddamento dei chip.
E.P.