Se come abbiamo visto la tecnologia a volte fatica a penetrare fra i banchi di scuola, a casa è tutta un’altra… dimensione: per parlare di compiti con i compagni, i ragazzi usano soprattutto Facebook e WhatsApp, e lo stesso fanno insegnanti ed i genitori.
Non esiste oggi un’educazione alla comunicazione digitale nella scuola e in questa fase di sperimentazione si assiste a una moltiplicazione di gruppi e di livelli di comunicazione. I gruppi su Facebook sono utilizzati soprattutto per comunicazioni istituzionali (postate per esempio dai rappresentanti di classe, o dagli insegnanti). WhatsApp, invece, è utilizzato come strumento quotidiano di condivisione e comunicazione (tra gli studenti per lo svolgimento collettivo dei compiti, dagli insegnanti per comunicazioni tra loro ma anche per comunicazioni rapide agli studenti, tra i genitori per discutere di una grande varietà di argomenti.
Oggi, ormai, i ragazzi è più probabile possiedano uno smartphone o un tablet che un computer. Lo confermano i dati di Net Children Go Mobile, progetto finanziato dal Safer Internet Programme della Commissione Europea: il 53% dei ragazzi europei tra i 9 e i 16 anni possiede uno smartphone (in Italia il 45%, in Danimarca il 85% e in UK il 58%) e il 48% lo usa ogni giorno per andare online.
Da un’indagine di Skuola.net, realizzata nell’ autunno 2013 tra 4.486 studenti con età compresa tra i 11 e 19 anni, è emerso che 2 studenti su 3 hanno un gruppo-classe su Facebook o WhatsApp e per chiedere aiuto sui compiti il 50% usa WhatsApp e il 20% Facebook, mentre solo il 5% si vede di persona.
Dai commenti dei ragazzi intervistati si ricava anche un aspetto relativo alle difficoltà di gestione di questi canali: a volte il cellulare dei ragazzi continua a suonare perché la chatroom viene monopolizzata da un gruppo più piccolo per gossip e chiacchiere, reando un overload di messaggi che nessuno riesce a controllare.
Questa forma di comunicazione si rivela comunque utile per i dubbi dell’ultimo minuto, il confronto di soluzioni veloci oppure passaggi di consegne e avvisi spicci: E’ perfetta per queste piccole funzionalità perché è il mezzo più attuale e diffuso, è immediato e raggiunge tutti. Con Whatsapp non si chiede al web, dove è possibile perdere molto tempo, ma ai compagni, che sono preparati su tutto ciò che è relativo al “microcosmo classe”. Queste chat di gruppo possono diventare un abbozzo di cooperative learning : ognuno ha delle competenze e capacità specifiche che mette a disposizione degli altri, e solo con il contributo di tutti si può “risolvere” il problema posto.
A volte poi sono proprio gli stessi insegnanti ad abusare di questi strumenti. Capita spesso, infatti, che comunichino variazioni di programma o nuovi compiti da fare nel pomeriggio via WhatsApp, oppure cose che si erano dimenticati di dire a lezione. Collassa, così, la dimensione ufficiale e collassano i contesti: sono ormai moltissimi coloro che sostengono che definire una policy all’inizio dell’anno sarebbe più che utile. Come ogni forma di condivisione “social”, anche WhatsApp può rappresentare una discreta perdita di tempo e di concentrazione per gli studenti, che vanno quindi istruiti e guidati nell’utilizzo consapevole..
Altro – ed ulteriore – discorso per i gruppi WhatsApp dei genitori. Sono ormai moltissimi quelli che ritengono indispensabile tenersi in contatto attraverso una chat. L’idea di partenza sarebbe anche valida: condividere informazioni utili su ciò che accade a scuola ai propri figli. Ben presto però questi gruppi si trasformano in un ricettacolo della peggiore umanità, un totem del male di vivere, un’apoteosi del degrado. L’uso scorretto dei gruppi di classe su WhatsApp, denunciato dai presidi di tantissime scuole, accende il dibattito nel mondo dell’istruzione e tra le famiglie. Mostrando come le chat collettive che ruotano attorno alla vita scolastica dei fanciulli – definite dai dirigenti scolastici come un “detonatore di problemi” – siano un tema particolarmente sensibile e vivo per i genitori.
Chi non ha figli in età scolare non può neppure immaginare cosa succede li dentro: centinaia di notifiche ogni ora, litigi infiniti per una gita o per un regalo, pettegolezzi, richieste di aiuto per i compiti… Ma al di la della componente comica, il problema reale è che le chat dei genitori sono uno degli strumenti di quel male chiamato manie di ipercontrollo dei genitori sui figli. Genitori che devono sapere dopo 3 secondi quali e quanti compiti sono stati lasciati ai propri figli (perché i figli il diario non lo hanno? Perché il registro elettronico i genitori non possono guardarlo?), che devono commentare la difficoltà degli esercizi (ma i compiti devono farli i ragazzi o i genitori?), che devono esprimere pareri sulla simpatia di un docente (i tribunali sommari sono all’ordine del giorno), che devono verificare costantemente da altre fonti la veridicità di quanto dicono loro i figli (la fiducia, questa parola sconosciuta), che devono lanciare improbabili indagini ed iniziare processi sommari online contro l’insegnante impreparato, il compagno con i pidocchi, i supposti litigi tra ragazzi. Parole dette, riportate e ingigantite che confondono e dividono, demolendo quella che una volta era la comunicazione scuola-famiglia ed n buona parte anche la comunicazione con i propri figli, fatta di genitori attenti, desiderosi di ascoltare i propri figli e il parere dell’insegnante. WhatsApp e i suoi gruppi diventano lo “sfogatoio”, l’occasione per usare toni e modi che dal vivo non useremmo mai, come se lo schermo che abbiamo davanti ci autorizzasse a essere violenti, offensivi e noncuranti delle cose che vengono scritte che, peraltro, una volta inviate… rimangono in rete.
Provveditori, presidi ed insegnanti chiedono un freno a queste piazze virtuali che possono sicuramente essere utili ma devono essere limitate e ben gestite. Se questi gruppi hanno certamente il merito di creare una rete, un senso di appartenenza, e sarebbe quindi sbagliato criminalizzarli o censurarli, promuovere la conoscenza di un utilizzo corretto e produttivo è sicuramente importante.
(ep)
Per saperne di più: Net Children Go Mobile; L’uso scorretto dei gruppi di classe su WhatsApphttp