Riforma terzo settore: impresa sociale le principali novità

Riforma Terzo Settore: impresa sociale

Il decreto predisposto della delega conferita al Governo con la L. n.106/2016 abroga la previgente normativa di cui al d.lgs. 155/2006 al fine di rimuovere i principali ostacoli allo sviluppo di tale particolare fattispecie normativa del Terzo settore.

Le principali novità introdotte dal decreto legislativo, riguardano la ridefinizione ed ampliamento dei campi di attività, la possibilità di distribuire utili e un ampio ventaglio di strumenti di finanziamento, anche fiscali. La qualifica di impresa sociale può essere acquisita da tutte le organizzazioni private, incluse quelle costituite in forma societaria, che esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività. Alle cooperative sociali, la qualifica di impresa sociale è attribuita per forza di legge, mentre tale qualifica non possono acquisirla le società costituite da un unico socio persona fisica e le pubbliche amministrazioni (art.1).

Altre due importanti novità oltre alla definizione di impresa sociale sono le attività di impresa di interesse generale e l’assenza di scopo di lucro. Per quanto riguarda le attività, la normativa include: le prestazioni socio-sanitarie, i servizi finalizzati alla salvaguardia e al miglioramento delle condizioni dell’ambiente, interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio, la ricerca scientifica di interesse sociale, la cooperazione allo sviluppo, il commercio equo e solidale, l’agricoltura sociale. L’attività di impresa di interesse generale deve generare almeno il 70% dei ricavi complessivi. Viene considerata di interesse generale, l’attività dell’impresa sociale nella quale, per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, sono occupati lavoratori molto svantaggiati, persone svantaggiate o con disabilità e persone senza fissa dimora che versino in una condizione di povertà tale da non poter reperire e mantenere un’abitazione in autonomia, secondo specifiche percentuali in relazione al personale (art.2).

Nodo centrale della riforma è l’utilizzo degli utili d’impresa. Gli utili vengono di norma destinati allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio. È vietata la distribuzione, anche indiretta, di utili e avanzi di gestione a fondatori, soci o associati, lavoratori e collaboratori, amministratori ed altri componenti degli organi sociali. Niente premi, dunque, né compensi individuali non proporzionati all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze, limiti comunque agli stipendi, che non possono superare del 40% quelli previsti dai contratti collettivi. Tuttavia, con la nuova normativa viene introdotta la possibilità per le imprese sociali di destinare una quota inferiore al 50% degli utili e degli avanzi di gestione annuali, dedotte eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti. Se costituite in forma di società gli utili possono essere destinati ad aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato dai soci oppure alla distribuzione, anche mediante l’emissione di strumenti finanziari, di dividendi ai soci in misura comunque non superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentando di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato. Erogazioni gratuite in favore di enti del Terzo settore diversi dalle imprese sociali, che non siano fondatori, associati, soci dell’impresa sociale o società da questa controllate, finalizzate alla promozione di specifici progetti di utilità sociale (art.3).

Riveste non certo un’importanza minore rispetto ai primi tre articoli il capitolo delle agevolazioni fiscali (art.18). La disposizione introduce importanti misure di sostegno e fiscali volte alla promozione e alla sviluppo dell’impresa sociale. In particolare, viene previsto che gli utili e gli avanzi di gestione delle imprese sociali non costituiscono reddito imponibile ai fini delle imposte dirette qualora:

  • incrementino le riserve indisponibili dell’impresa sociale in sospensione d’imposta in sede di approvazione del bilancio dell’esercizio in cui sono stati conseguiti e che vengano effettivamente destinati allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio;
  • vengano destinati ad aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato dai soci.

Buone notizie riguardano chi finanzia un’impresa sociale. Infatti gli verrà riconosciuta una detrazione fiscale del 30% sull’investimento nel capitale di un’impresa o cooperativa che diventi impresa sociale nei termini stabiliti del decreto, a patto che sia stata costituita da meno di tre anni. La detrazione è valida per tre anni e non può superare 1 milione nel caso delle persone fisiche e 1,8 milioni nel caso di società. Questi beneficio, saranno validi a partire dopo ricevimento dell’autorizzazione della Commissione europea e non prima del 2019.

A. I.

Per sapere di più: Gazzetta Ufficiale

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