CISV: sosteniamo la libertà di migrare

CISV, i falsi miti sull'immigrazione

Più di sessant’anni di impegno in Africa, America Latina e Italia in difesa dei diritti umani e per contrastare la povertà. Un impegno consolidatosi nel tempo, quello di CISV,  attraverso numerosi progetti, tra gli altri di autosviluppo delle comunità locali, microimprenditorialità, accoglienza e di lotta alla povertà educativa, capaci di svelare alcuni dei falsi miti legati all’immigrazione.

Di questi  e delle esperienze dell’associazione ne abbiamo parlato con Federico Perotti, Presidente CISV.

Da una parte i corridoi umanitari, dall’altra “aiutiamoli a casa loro” oppure, ancora, “alziamo muri”, “chiudiamo i porti”, qual è la vostra posizione in merito a chi fugge da guerre, spesso civili, carestie, miseria, fame, da pulizie etniche e persecuzioni, dalla mancanza di libertà e democrazia, dalle palesi ingiustizie sociali, dall’assenza di prospettive?
Da quasi 60 anni la nostra associazione CISV è impegnata nel contrasto alla povertà e nella difesa dei diritti umani in Italia, Africa e America Latina. La nostra tradizione di apertura cosmopolita ci spinge a non creare barriere, anzi a costruire ponti di dialogo aprendoci all’incontro e alla solidarietà con altri popoli, culture e religioni.
Sull’immigrazione, ci sono alcuni “miti” da sfatare. Ad esempio l’idea che l’intervento delle Ong a soccorso dei migranti sui barconi o a sostegno dei rifugiati nel percorso di integrazione provochi un aumento dei movimenti migratori. In realtà non esiste alcun rapporto causale tra questi due fenomeni.
Un altro mito da sfatare è l’idea che chi emigra lo faccia sempre e solo per scappare da condizioni avverse nel proprio Paese. Questo è certamente vero in molti casi: dove non c’è giustizia, dove si vive in situazioni di violenza e guerra, dove è impossibile avere il necessario per vivere, l’esistenza diventa impossibile e le persone cercano di andarsene. Ma da sempre, nella storia dell’umanità, c’è anche la spinta a spostarsi in altri luoghi animati da un desiderio di miglioramento, per formarsi, per conoscere altri luoghi e persone; noi sosteniamo la libertà di migrare.
C’è poi il luogo comune del “quanto ci costano”: in realtà gli immigrati producono l’8% del PIL italiano e le loro rimesse (il denaro trasferito alle famiglie nei Paesi d’origine, ndr) sono almeno il doppio degli aiuti allo sviluppo europei.

Rispetto alle politiche internazionali e nazionali in atto? Che cosa si può fare?
Tra il 2013 e il 2016 l’Europa ha visto arrivare oltre 3,8 milioni di persone richiedenti asilo nei propri territori. In risposta ha sviluppato diversi piani, accordi e quadri politici sulla migrazione, stabilendo una serie di accordi di cooperazione con Paesi terzi, sottolineando l’importanza di affrontare le cause alla base della migrazione irregolare verso paesi non UE. Il risultato però è che sempre più i fondi destinati agli aiuti umanitari vengono spesi per gestire e contrastare i flussi migratori. La cooperazione allo sviluppo è percepita dai leader UE come uno strumento per “controllare la migrazione”. Al Vertice di Parigi del 2017, ad es., la strategia delineata ha lasciato in secondo piano le cause profonde della migrazione e dello sviluppo sostenibile, rivolgendo tutta l’attenzione e gli strumenti (diplomazia, cooperazione e sicurezza) al controllo dei flussi, all’unico scopo di fermare le migrazioni nel minor tempo possibile. Noi crediamo invece che ogni sforzo di chiudere le frontiere, per bloccare i movimenti di persone e popoli che si muovono da uno Stato all’altro in cerca di migliori condizioni di vita e di sopravvivenza, sia un tentativo utopico, destinato al fallimento.
Per quanto riguarda più in specifico la politica italiana, si sta oggi diffondendo una sorta di “sindrome da invasione”. Una recente ricerca dell’Istituto Cattaneo ha mostrato che, mentre gli immigrati extracomunitari in Italia rappresentano il 7% della popolazione, tuttavia il 70% dei nostri connazionali crede che siano circa il quadruplo.
E’ dunque importante lavorare per diffondere una corretta informazione e per promuovere una cultura di solidarietà e di pace, senza fomentare pregiudizi e ostilità, mantenendo il nostro impegno accanto alle persone più deboli ed emarginate.

Ultimamente chi si occupa di immigrazione e richiedenti asilo, non gode di buona fama perché? E’ possibile ribaltare questa visione?
In questi ultimi anni è stata portata avanti una campagna di criminalizzazione delle Ong, a cominciare da quelle operanti nel Mediterraneo. Le Ong sono state additate come la causa di tutti i problemi nella gestione dei flussi migratori – o dall’altra parte difese come l’unico baluardo a difesa delle persone che attraversano il Mediterraneo in cerca di una vita migliore. Questi estremismi non giovano a nessuno e non rispecchiano la realtà. Inoltre gli operatori umanitari appartengono a organizzazioni e realtà associative diverse per orientamento, riferimenti culturali e politici. Il grave è che la campagna denigratoria contro le Ong non è priva di conseguenze, dato che in percentuale il numero dei morti nei “viaggi della speranza” continua ad aumentare, vista la diminuzione oggettiva della presenza navale di soccorso nel Mediterraneo e la disastrosa situazione dei migranti nei campi in Libia…
I pregiudizi contro le Ong si possono superare soltanto se esiste una volontà seria di informarsi e conoscere la realtà del loro lavoro, superando le paure nei confronti dello straniero, spesso fomentate per motivi d’interesse politico.

Facciamo l’esempio di CISV: dove opera e come finanzia i progetti?
CISV è presente in 13 Paesi di Africa e America Latina, dove interviene per favorire l’autosviluppo delle comunità locali, la creazione di impiego, la microimprenditoria e le cooperative, e la difesa dei diritti umani, in particolare delle donne; mentre in Italia si occupa di educazione alla cittadinanza globale e lotta alla povertà educativa nelle scuole e sul territorio, e di accoglienza a piccoli gruppi di rifugiati e ai richiedenti asilo.
Si tratta di giovani, donne (anche mamme con bambini) e uomini in fuga da situazioni di fame, violenza e guerra, provenienti in prevalenza dall’Africa.  Lavoriamo per favorire l’inclusione e l’inserimento sociale di queste persone attraverso la cura della salute, l’accompagnamento legale, l’insegnamento dell’italiano, la formazione professionale ecc. CISV collabora inoltre con alcune associazioni di migranti presenti sul territorio italiano per progetti di sviluppo economico nei Paesi di origine e piccoli progetti di rimpatrio volontario assistito. In particolare sosteniamo alcune micro attività economiche gestite da cittadini senegalesi residenti in Italia che hanno un progetto di “migrazione di ritorno” o di investimento economico e sociale nel Paese d’origine.
Per sostenere economicamente tutte queste attività ci avvaliamo di alcuni finanziamenti da parte delle istituzioni pubbliche (come l’AICS – Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e l’UE – Unione Europea), di Fondazioni, di organismi ecclesiastici di varie confessioni religiose e della generosità di tanti privati cittadini che hanno a cuore la solidarietà internazionale e la tutela dei diritti umani.

A chi dice che siamo invasi che cosa si può rispondere?
Anche quello dell’invasione è un mito da ridimensionare. La realtà ci dice che i migranti in Italia rappresentano all’incirca il 7% della popolazione; e in alcuni Paesi europei, come quelli dell’Est, soltanto l’1%. La maggior parte dei movimenti migratori e dei migranti si fermano nei Paesi del Sud del Mondo: per intenderci, sono di più gli africani che lasciano il proprio Paese per trasferirsi in un altro Stato africano che quelli in fuga verso l’Europa. Il nostro continente è solo l’ultima tappa di un viaggio molto lungo che prima di arrivare al Mediterraneo attraversa in lungo e in largo molti Paesi africani in condizioni di estrema difficoltà, spesso a costo di stenti e torture. In tre anni, dal 2014 al 2017, ci sono stati 15.000 morti, contando solo i decessi in mare. Se le persone arrivano al punto di affrontare tutto questo è perché non hanno scelta, non hanno – come dice lo scrittore Erri de Luca – “un indietro verso cui voltarsi”.
A chi li definisce “invasori”, ricordiamo che gli immigrati contribuiscono in modo significativo a sostenere le casse dell’Inps, versando ogni anno 8 miliardi di contributi, e che sono fondamentali nei prossimi decenni per la tenuta del nostro sistema pensionistico; contribuiscono inoltre a settori economici e sociali nei quali gli italiani tendono a non voler più lavorare.
Inoltre occorre essere coscienti, guardando oltre la nostra piccola Italia, che il fenomeno migratorio globale è probabilmente inarrestabile per molti fattori (cause economiche, climatiche, di conflitti, ecc.) e lo sarà per molti decenni ancora e la costruzione di un mondo pacifico e più giusto passa attraverso la coltivazione di percorsi di integrazione tra le culture e tra i popoli, e attraverso la lotta alle diseguaglianze nel nostro Paese e su scala planetaria, sicuramente non attraverso chiusure e muri.

Federico Perotti  – Presidente CISV

Per saperne di più: www.cisvto.org; http://blog.cisvto.org; www.regalisolidali.cisvto.org

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